di Gilberto Dondi e Zoe Pederzini
"Ci dispiace, ma al momento abbiamo bisogno di stare tra noi, in silenzio. Non ci sentiamo di dire nulla su quanto accaduto e non possiamo parlarne". Sono in tanti, quasi tutti parenti, a casa Mushtaq. Una palazzina tranquilla, in via Di Vincenzo in Bolognina, con i muri rossi e i balconcini tutti uguali. Al terzo piano le luci sono accese e alcuni parenti si affacciano. I genitori dei due ragazzi arrestati con la pensantissima accusa di terrorismo di matrice islamica, non parlano tanto l’italiano. "Non possiamo dire nulla – dice un parente – e tra poco dobbiamo anche uscire. Adesso vogliamo stare tra amici e familiari". La 22enne Rida è riuscita in pochi mesi a trascinare nelle sue idee estremiste il fratello 19enne Hasham. E proprio lì, in quella palazzina, a due passi dalla stazione, dove Rida e il fratello vivevano con i genitori fino all’arresto, avvenuto alla Vigilia di Natale, gli altri inquilini si dicono stupiti per l’accaduto e ignari di cosa succedesse ai due giovani dietro le mura del loro appartamento: "Li si vedeva e li si incrociava – raccontano –, come è normale quando si vive nello stesso posto. Nulla più di un saluto, però. Erano tutti molto riservati".
L’INFLUENCER DELLA JIHAD
Per Rida, la leader del gruppo, e per l’amica 19enne residente a Spoleto, Ryhem Guerroudj, la guerra santa contro gli infedeli era una missione totalizzante, abbracciata in modo cieco, senza se e senza ma, con qualche timore di non essere abbastanza "pronte" ma comunque nella consapevolezza di non poter più star ferme davanti alle "ingiustizie subite dai fedeli", tra questi il popolo palestinese di Gaza. C’è questo, ma non solo, nelle conversazioni captate dai carabinieri del Ros (e riportate nell’ordinanza del gip Andrea salvator Romito) tra le due ragazze. Rida e Ryehm, non solo nei numerosi post pubblici su Instagram, X e Tiktok, ma anche nelle loro chat private parlavano esplicitamente del bisogno di attivarsi per punire gli infedeli. "Arriverà il nostro momento", dicevano a maggio. Sognavano di portare la legge islamica, la Sharia, a Roma, e di vivere nello "Shaam", nei Paesi come Siria e Palestina. Proprio al popolo palestinese hanno manifestato più volte solidarietà, dopo gli attacchi israeliani. Non solo: hanno gioito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, ma nei confronti dell’organizzazione terroristica nutrivano dubbi perché considerata "lontana dal vero Islam" e dunque composta da "nemici di Allah".
LE ACCORTEZZE SUL WEB
Da un lato consigliavano accortezze per non essere scoperte dalle forze dell’ordine, dall’altro affermavano di non aver paura, anzi, di cercar loro stesse le chiavi del carcere se messe davanti a un bivio. Rida metteva in guardia i followers dagli "account fake" dietro i quali potevano nascondersi forze dell’ordine, in parte sospettando di essere oggetto di attenzioni investigative. E allora, spiegava assieme all’amica con cui gestiva le tante pagine sui social, "non vale la pena salvare contenuti compromettenti su cellulari e computer personali", poiché anche se è vero da un lato che la Da’wa, la chiamata alle armi, va fatta "senza temere i miscredenti", dall’altro questi ultimi, per le due ragazze, trovano sempre un pretesto "per arrestare i musulmani, contestando ideologie estremiste e arrivando persino a cambiare le leggi pur di catturarli". E allora bisogna stare in guardia.
L’EDUCAZIONE ALLA GUERRA SANTA
Scopo delle giovani, oltre a combattere in prima persona, era poi educare a utilizzare i social – non solo Tik Tok, ma anche Telegram, WhatsApp business, Facebook e Instagram, X – per gli scopi "corretti" ovvero raccogliere fondi per le famiglie dei prigionieri religiosi e sostenere la causa jihadista. Per esempio condividendo video di biasimo o aperto odio verso i miscredenti occidentali e oppure ancora pubblicando immagini di atti di violenza fino all’invocazione del martirio, poiché "la lotta armata contro i miscredenti è l’unico viatico per la gloria eterna". Il proselitismo andava fatto con più persone possibili e in diverse conversazioni le giovani si lamentano che nel gruppo c’erano poche persone. Nessuno viene risparmiato. Figuriamoci i famigliari. Il fratello di Rida viene appunto educato dalla sorella e, "a seguito dell’indottrinamento", cambia aspetto e mentalità. Nel giro di pochi mesi (circa sei) passa infatti "dall’aperto disinteresse verso le tematiche jihadiste" a uno stretto "percorso di radicalizzazione, mutando completamente il proprio aspetto esteriore secondo le prescrizioni dell’islam radicale, indossando abiti tradizionali e facendosi crescere la barba".