di Massimo Vitali
"Mi sembra che lentamente questo Bologna stia trovando una sua identità e non è mai facile l’anno dopo una grande impresa. Ecco, per essere più competitivi servirebbero un paio di giocatori di caratura superiore che in organico non ci sono". E se lo dice il Mitico, alias Renato Villa, c’è da fidarsi.
Proprio il Mitico, emblema del difensore ruggente del Bologna di Gigi Maifredi che tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 fece sognare una città intera, sarà la voce rossoblù del campo martedì al Bar Carlino, nel giorno della sfida di Champions al Dall’Ara coi francesi del Monaco.
Villa, che cosa significa portare il vessillo della città in giro per l’Europa?
"È bellissimo, perché oltre alla storia della città porti con te tanti tifosi. Noi in quel 1990-91 in Coppa Uefa fummo eliminati ai quarti dallo Sporting Lisbona (che curiosamente sarà l’avversario dei rossoblù di Italiano il 29 gennaio in Portogallo, ndr) in coda a una stagione travagliata che ci portò a retrocedere in B. Ma se penso alla gara di ritorno con gli austriaci dell’Admira Wacker, a dicembre, quando al Dall’Ara ribaltammo lo 0-3 dell’andata e passammo il turno ai rigori, beh mi emoziono ancora oggi".
Bar Carlino questo si prefigge: raccontare la città attraverso le emozioni che trasmette la sua squadra di calcio.
"È una bella iniziativa, come lo sono tutte quelle che legano la città alle sue rappresentazioni sportive. Lo sport mi ha insegnato tanto e mi insegna tanto anche oggi che ho sessantasei anni e alleno i 2012 del Monte San Pietro, oltre a essere il responsabile di tutto quel settore giovanile".
Lei diventò Mitico nel 1987-88, quando col Bologna di Maifredi stravinse il campionato di B stupendo l’Italia intera col famoso calcio champagne, e da allora lo rimasto.
"E anche questo è bellissimo. Ancora oggi tanti mi fermano per strada e mi dicono ‘Ciao Mitico’. Magari qualcuno di loro non sa nemmeno che mi chiamo Renato: per loro sono il Mitico e basta. Potenza del calcio".
Bologna che cos’è per lei?
"La mia seconda casa: anzi la prima. Perché qui mi sono trasferito con la famiglia quando giocavo e qui ho scelto di vivere. Da calciatore credo di aver dato qualcosa ai bolognesi, ma i bolognesi a me hanno restituito tanto".
Il Bologna in Champions cosa significa?
"Per un calciatore è un sogno che s’avvera. Un bambino che gioca a calcio sogna tre cose: giocare in nazionale, vincere lo scudetto e fare le coppe. A maggio uno di quei tre sogni per i calciatori del Bologna è diventato realtà e mi auguro che martedì col Monaco si possa fare quel colpo da tre punti che certo non potevi fare in casa di un Liverpool o di un Aston Villa. Però prima pensiamo al Lecce".
Il Villa bambino cosa sognava quando tirava calci a un pallone?
"A Cornaleto (provincia di Cremona, ndr) non c’erano tanti sogni da coltivare. Mai avrei immaginato allora di arrivare in serie A, men che meno di diventare Mitico per una città importante come Bologna. Ma il calcio spesso riserva sorprese".