Dopo la convalida dell’espulsione, Zulfiqar Khan "è stato rimpatriato". L’imam pakistano ha salutato Bologna dopo che, due giorni fa, il giudice del tribunale civile Emanuela Romano ha convalidato il decreto di espulsione emesso dal ministero dell’Interno per motivi di sicurezza dello Stato. E ad annunciarlo è stato direttamente il ministro Matteo Piantedosi, attraverso un post su X: sulla piattaforma, il ministro riporta alcuni passi del provvedimento di espulsione in cui si legge che l’imam "era noto per il suo fanatismo religioso e per le sue posizioni connotate da forte risentimento antioccidentale e antisemita e aveva più volte manifestato una visione integralista della jihad, esaltando gli attentati compiuti da Hamas". Dopo aver appreso la decisione del giudice, il legale di Zulfiqar Khan, Francesco Murru, aveva subito annunciato l’intenzione di presentare un ricorso al Tar del Lazio contro il provvedimento di espulsione.
L’imam è stato allontanato dall’Italia, perché, secondo il ministero dell’Interno, manifestava una visione integralista del concetto di jihad, avendo contatti con personaggi dell’Islam "ultra-radicale". In più, avrebbe esaltato il martirio dei mujahidin nel conflitto israeliano-palestinese, rivendicando il sostegno ad Hamas. A far suonare il campanello d’allarme, anche i sermoni che l’imam pubblicava sui social, da cui traspare la retorica omofoba e antifemminista di Zulfiqar Khan, alla guida del centro islamico di via Jacopo di Paolo. Per l’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia è fondamentale la prevenzione "antiterroristica come strumento per la sicurezza del Paese – scrive il segretario nazionale Enzo Letizia –. L’espulsione dell’imam rappresenta un’azione concreta volta a contrastare la diffusione di ideologie radicali e l’influenza negativa di cattivi maestri che, attraverso la retorica dell’odio, minano la coesione sociale e l’integrazione alimentando i rischi della radicalizzazione jihadista".