BENEDETTA CUCCI
Cronaca

Il Kung Fu all’amatriciana di Gabriele Mainetti

Il regista per due giorni sarà a Bologna per il suo ’La Città Proibita’: "Gioco con i generi e punto sulla multi culturalità"

Il regista per due giorni sarà a Bologna per il suo ’La Città Proibita’: "Gioco con i generi e punto sulla multi culturalità"

Il regista per due giorni sarà a Bologna per il suo ’La Città Proibita’: "Gioco con i generi e punto sulla multi culturalità"

Kung Fu e Amatriciana sotto lo sguardo di una Roma multietnica dove una ragazza cinese asso delle arti marziali, va in cerca della sorella nei meandri della criminalità organizzata che mette fuori gioco a colpi di kung fu e mosse cattivissime. Poi il suo destino si incrocia con quello di Marcello e della sua trattoria. Ecco la nuova sfida di Gabriele Mainetti, dopo ’Lo chiamavano Jeeg Robot’ del 2015 e ’Freaks Out’ del 2021, con ’La città proibita’: scene d’azione da film americani, un’attrice protagonista – Yaxi Liu – che nella vita è una vera stunt e una fotografia curatissima. Il regista sarà oggi alle 20,30 al The Space per un saluto pre show che farà poi alle 21,15 al Rialto. Domani alle 23,45 sarà all’Arlecchino per Q&A dopo lo spettacolo delle 21,30.

Mainetti come nasce questo film così complesso, nella trama, nel lavoro cinematografico, nei generi, tra ’revenge’ e tenero romanticismo?

"Mi diverto a giocare con i generi cinematografici e so perfettamente che per fare un film del genere nel nostro Paese devo partire da quelli che sono i generi con cui noi siamo al sicuro. Poi, però, devono incontrare la mia cinefilia. È come se esistesse una giara all’interno della quale getto delle palline con scritti dei nomi… ed ecco che è uscito fuori il film di arti marziali. Siccome sono un cinefilo matto che ama il cinema di tutto il mondo, il primo riferimento è stata l’opera di Bruce Lee, poi ho approfondito tutto il resto, un cinema che conosco e amo. Già dai tempi di ’Lo chiamavano Jeeg Robot’ mi chiedevano come facessi a fare questo mix di toni ed è ancora una cosa che sorprende".

Come fa?

"Attraverso i personaggi. So esattamente che se io mi fossi messo a fare un film di arti marziali in Italia soltanto con personaggi italiani, sarei stato ridicolo. Mi è sembrato più naturale e vero, fare incontrare il genere con una ragazza cinese. In questo, naturalmente, ho messo tutta la mia sensibilità rispetto alla multi culturalità, nella speranza che poi si verifichino eventi interculturali. E di fatto il film fa proprio questo, prende una cultura, quella delle arti marziali con un personaggio interpretato da questa ragazza e la fa incontrare con la vecchia commedia all’italiana e personaggi tragicomici dalla vita segnata, che davanti al negativo oppongono sempre una grande vitalità. Il clash tra due culture ha prodotto ’La Città proibita’, dove c’è anche del crime. Comunque non è che mi siedo a tavolino, le cose seguono la mia parte istintiva...".

Certo ha a disposizione un grande immaginario cinefilo da cui attingere automaticamente.

"In effetti è così. Mangio a colazione, pranzo e cena tanto altro cinema e mi diverte pensare di poterlo frequentare. Mi hanno chiamato dall’altra parte del globo per fare cinema, ma avendo io una famiglia numerosa, faccio fatica a pensare di andarmene per così tanto tempo e finché posso farlo qua lo faccio, anche perché so bene che lì non avrei la libertà registica che ho qui. Non sono un cavaliere romantico che si oppone!".

Per fare un film ha bisogno di una nuova sfida?

"Per me è importante essere nel problema, trovarmi davanti a qualcosa di nuovo. Mi chiedono ancora perché non faccio ’Jeeg Robot 2’ e dicono perché è difficile capitalizzare. Non è questo, io saprei benissimo come farlo, ma non è una sfida per me, oltre al fatto che sono consapevole che potrei rovinarlo. Quando ci sarà una storia ‘challenging’ per il personaggio di Enzo Ceccotti, allora la racconterò, ma se deve essere solo un modo per andare avanti non mi va. Ho solo una vita, per fare un film mi ci vogliono tre anni, voglio crescere".