È il rock club con più storia della città, il Covo, lo spazio nel quartiere San Donato (Viale Zagabria, 1) che è diventato, nel corso dei suoi affollatissimi 44 anni di esistenza, un riferimento obbligato per la scena della musica d’avanguardia internazionale e insieme palco aperto a tanti giovani talenti, italiani e non destinati, spesso al grande successo. Una fama che, vuole la leggenda, affascinò anche Bob Dylan che, trovandosi in città per il suo concerto di fronte al Papa nel settembre 1997, la sera passò in incognito da lì, ma lo trovò chiuso.
Sarà aperto, invece, per la nuova stagione da domani con ricco cartellone che, come sempre, alterna nomi nuovi del panorama nazionale e realtà straniere. Come l’artista invitato a inaugurare, Föllakzoid, che proviene da un Paese fuori dalla mappa tradizionale del rock, il Cile, con un concerto saturo di suggestioni psichedeliche, suoni e visioni dalla stagione del pop lisergico degli Anni ’60, ma riletto attraverso la lente distorta della techno più ipnotica. Sostenitore della possibilità di portare gli spettatori, attraverso l’esperienza dell’ascolto attento, in uno stato di trance, è stato protagonista delle notti senza fine di locali storici del panorama dance, come il Berghain di Berlino e di festival come il Primavera Sound di Barcellona. Si prosegue il 27 settembre con la più recente espressione sonora di una città, Newcastle, particolarmente attiva nelle subculture giovanili, il trio dei Demob Happy, solidamente rock. Porteranno al Covo le canzoni del loro disco più recente, Divine Machines, che gravita intorno alla relazione tra la durezza dei fraseggi imponenti della chitarre elettrica e improvvise aperture melodiche, delicate, persino, prima di tornare nei vortici più metallici. Si cambia prospettiva sabato 28 settembre con lo spettacolo dei Sababa 5, londinesi, che rappresentano alla perfezione l’idea della molteplicità di patrimoni etnici che dialogano nella metropoli inglese. La loro musica, infatti, attinge al funky strumentale che si suonava nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo negli Anni ’70. Suggestioni esotiche, la world music che nei decenni scorsi in Medio Oriente veniva riletta dagli strumenti analogici e una passione sfrenata per le piste da ballo nordafricane fanno dei loro concerti un’occasione per ballare dalla prima all’ultima nota.
Decisamente più sperimentale e ‘rumorosa’ la proposta in cartellone giovedì 3 ottobre. Gli inglesi Maruja, infatti, trasportano le leggende dell’affascinante mitologia irlandese nelle partiture del nuovo jazz, tra assoli di sassofono e arpeggi distorti di chitarra. Un’esperienza di poetica urbana, che trasforma in note ogni suggestione che arriva dalle megalopoli, una sorta di ambient music per le periferie industriali. Ad aprire le serate, ogni volta, un nome diverso del panorama italiano, invitato a confrontarsi con il pubblico del club, per poter, se ne ha le qualità, diventare l’attrazione principale della prossima stagione e, spesso, in chiusura, i dj per continuare a divertirsi sino a notte inoltrata.