Bologna, 2 dicembre 2024 – Mauro Felicori, assessore regionale alla cultura dell’Emilia-Romagna o ex assessore?
"Un paio di settimane e credo proprio che sarò ex".

Cos’è successo?
"Nel momento in cui hanno scelto di non candidarmi come consigliere regionale, gli equilibri della politica impongono che non ci sia più posto per me, neppure come assessore".
Chi l’ha fatta fuori?
"Non lo so. Ma io sono di Italia Viva, Italia Viva è confluita nella lista de Pascale, quindi immagino che Renzi e il nuovo governatore si siano parlati. Non hanno però parlato con me. Potevano farlo".
Arrabbiato?
"Sicuramente amareggiato".
Lascia Italia Viva?
"Deciderò più avanti, passata l’amarezza".
Si era anche sparsa la voce prima delle elezioni che lei avrebbe votato Ugolini...
"Ma no... Stimo Elena Ugolini, intendiamoci, ma ho votato, diciamo così, regolare. Non le dico per chi, ma la mia scelta ha appoggiato de Pascale. Con lui sindaco ho lavorato bene".
Però resta amareggiato...
"Non solo per me. Mi dispiace vedere come sia ormai morto in Italia il progetto riformista. I riformisti, divisi, perdono. Lo abbiamo visto alle Europee e non contenti del fallimento ci siamo schiantati di nuovo contro il muro alle Regionali. Zero eletti, rilevanza zero".
Il problema?
"Azione non ha voluto Italia Viva, Repubblicani, +Europa e socialisti hanno accettato questo veto e Italia Viva stessa si è rifugiata, quasi nascosta, nella lista de Pascale. Ma un partito che non si presenta alle elezioni, per cos’altro esiste?"
Lei di Renzi, cinque anni fa, diceva, testuale: ‘Lui esprime al meglio la necessità di innovazione della politica italiana’.
"Ma ora mi domando: dov’è finita l’innovazione? Siamo ancora liberali e riformisti? Io credo che i liberali democratici siano per natura più di sinistra che di destra, ma non può e deve diventare un obbligo. Se è un obbligo allearsi col Pd, allora meglio tornare tutti nel Pd. Ma snaturare idee e pensieri no. Meglio perdere che perdersi".
Lei fu un comunista della prima ora, condivise la svolta di Occhetto, appoggiò la nascita di Ulivo e Pd, che cosa non le piace oggi del Pd?
"Io mi sento un liberal comunista, che oggi significa essere radicali, non moderati, perché ti giri a destra o a sinistra e vince il populismo, la demagogia".
Il Pd è guidato da una sua collega di giunta, Elly Schlein...
"C’è uno spirito troppo propagandistico, una spina dorsale ideologica che non condivido, e lo dico con tutta la tenerezza possibile nei confronti di Elly Schlein. Un albero nasce da un tronco, robusto, poi ci sono i rami e le foglie. Io il tronco non lo vedo più, vincono le foglioline che volano via".
Il Pd è anche Bonaccini, che è stato suo presidente in Regione. Com’è andata con lui?
"Non ci sentiamo da un po’, ma è stato un rapporto buono e corretto. Partiamo dal concetto che l’Emilia-Romagna è una regione forte e che ovviamente non è stata male amministrata. La differenza tra me e Bonaccini è che lui tende ad esaltare la continuità per il futuro, io sottolineo invece la necessità di cambiamento e innovazione".
Sembrano parole di de Pascale
"Lui fa bene a provarci. Non sarà facile, perché cambiare le cose è sempre complicato".
Cosa serve cambiare?
"Il vero grande problema dell’Italia è la pubblica amministrazione. Funziona male, rende poco e costa molto. Io ho lavorato per trent’anni in Comune a Bologna, il cambiamento passa tutto da lì. Serve mobilità, flessibilità. Il settore privato è competitivo con tutta Europa, quello pubblico no. Invece si va avanti a colpi di demagogia".
Esempi?
"Più soldi alla Sanità, come in Germania, urlano in tanti. Sì, ok, ma dove li trovi questi soldi? E poi basta dopo quasi cent’anni con questa polemica fascisti e antifascisti. Facciamo tutti, e sottolineo tutti, una sforzo per uscirne. Dovrà impegnarsi di più il centrodestra, sì, ma anche la sinistra deve smetterla di usare l’antifascismo come fine propagandistico. Pensiamo ai problemi veri".
Che sono?
"Il lavoro, che in alcuni casi è ancora schiavismo, e la casa. È dai tempi di Fanfani e Andreatta che non parliamo seriamente di alloggi popolari, oggi servirebbero come il pane. Mio padre faceva il tramviere, io da ragazzo ho potuto studiare solo perché vivevamo nelle case popolari".
Lei diventò famoso quando diresse la Reggia di Caserta: nel 2016 i sindacati la accusarono di lavorare troppo, il suo nome finì anche nella Treccani.
"Conobbi lì Renzi, che esagerò anche un po’ quando disse: ‘Con Felicori la pacchia è finita’. Abbiamo fatto un bel lavoro e il miglior complimento l’ho ricevuto da uno dei 250 dipendenti. Mi disse: siamo tutti un po’ cresciuti, anche i peggiori".
Lei e la Cultura: esiste un’egemonia della Sinistra?
"C’è gente brava e preparatissima di sinistra come di destra, e soprattutto a livello pubblico le istituzioni devono collaborare e premiare la meritocrazia. Io con l’ex ministro Sangiuliano, sì proprio lui, ho lavorato benissimo per molti mesi, l’ho detto e lo ribadisco. Mentre, faccio un altro esempio, la classe politica di sinistra di Ferrara per tanti anni ha sbagliato a litigare in continuazione con Sgarbi e tenerlo fuori da tutto. Sgarbi avrà pure mille difetti, ma è bravo".
Cosa lascia alla Regione Emilia-Romagna?
"Penso a tre cose: la legge che aiuta le famiglie che gestiscono le case degli Illustri; lo scioglimento dell’Ibc, divenuto ora un dipartimento della Regione; la possibilità di custodire le ceneri dei propri cari nelle parrocchie, come succedeva prima di Napoleone".
Cosa vuol fare da grande?
"Oggi mi sento un manager culturale, magari un po’ meno operativo, non sono più un ragazzino. E a proposito di ragazzini, mi piacerebbe trasmettere qualcosa ai giovani. Nelle aziende pubbliche non si trasmette più nulla, purtroppo".