La forte energia creativa che attraversò Bologna tra la fine degli anni ’70 e primi ’80, con la nascita del rock demenziale degli Skiantos, della sperimentazione punk dei Gaznevada, della scuola di fumetto che aveva come riferimenti Andrea Pazienza e Filippo Scozzara, si riverberò, inevitabilmente, anche nella provincia, nei paesi, nella campagna. Luoghi lontani dagli scenari di una città che era stata attraversata dalla ribellione studentesca del ’77 e iniziava a trasformare la protesta in arte. Così, nel piccolo borgo di Selva Malvezzi (Molinella) un gruppo di adolescenti, innamorati della new wave allora imperante, ma anche del funk e del soul, diede vita a una esperienza sonora, quella degli Havock, guidati dal chitarrista e cantante Tiziano Zuccheri, che, indenne, ha percorso i decenni, tra piccoli club e apparizioni di fronte al grande pubblico, come quella nei primi anni ’90 in Piazza Maggiore in apertura proprio degli Skiantos. Sino a arrivare al concerto che la formazione terrà domani all’interno della locale Sagra di Santa Croce (in programma fino a domenica e poi dal 20 al 22 settembre), per un pubblico che abbraccia diverse generazioni.
Zuccheri, siete uno dei gruppi più longevi emersi dall’universo del rock bolognese degli anni ’80.
"Noi, in realtà, provenendo dalla provincia profonda, siamo sempre stati lontani dai clamori di quel rock; ammiravamo tutti quei gruppi, la spinta a formarci e a suonare insieme era la stessa, ma noi avevamo in più un senso della comunità locale, siamo diventati il riferimento per tutti i ragazzi che, nella nostra zona, volevano salire sul palco".
Voi di palchi ne avete frequentati tantissimi.
"In quell’epoca così vivace, con tante formazioni che uscivano dalla cantine, la competizione era altissima. Per noi un punto di arrivo fu essere invitati più volte a suonare allo Small di Pieve di Cento, un club che è entrato nella storia della musica alternativa italiana. Dopo quelle date è iniziata una carriera che non si è mai interrotta"
Una carriera durante la quale siete diventati un gruppo molto amato da tantissimi artisti.
"Certo. Faccio solo l’esempio del sassofonista Carlo Atti che ha affermato che la sua decisione di fare il musicista è nata dopo aver ascoltato, durante una prova nel Palazzo del Governatore di Selva Malvezzi, dove ci vedevamo, i nostri brani di rhythm and blues".
A proposito di versioni, il vostro repertorio è davvero ampio.
"Sì, quando abbiamo iniziato eravamo fortemente influenzati dalla scena rock figlia del punk, dai gruppi che iniziavano a usare l’elettronica, poi, nel tempo, abbiamo arricchito il repertorio con tanti grandi classici della black music, dal funk al soul al blues. Ballate caldissime che hanno sempre un effetto travolgente sul pubblico che, ogni volta che suoniamo, rinnova insieme a noi il rito della comunità. I nostri fan dicono che gli Havock non sono solo musica, ma anche una maniera di vivere. Forse esagerano, ma credo si riferiscono a quanto i nostri concerti riescano a rinnovare il piacere di stare insieme, di divertirci. E, ovviamente, c’è anche un po’ di orgoglio della provincia".
Pierfrancesco Pacoda