di Mauro Bassini
Bisogna anche capirli, i poveri ispettori della Michelin. Sono quattro gatti e, per di più, quest’anno si sono anche sobbarcati il compito di valutare ristoranti chiusi per mesi. Impresa non facile. È già un bel traguardo essere riusciti pubblicare l’edizione 2021 della mitica guida rossa, anche se il risultato della Michelin Italia, presentata ieri in streaming, è uno dei più tristi e svagati degli ultimi anni. Nessun nuovo locale si aggiunge agli 11 signori italiani delle tre stelle, tra i quali Massimo Bottura continua a brillare (con un’aggiuntiva ‘stella verde’ per la cucina sostenibile e anti-spreco).
Bologna e l’Emilia ne escono, ancora una volta, senza troppi motivi di gloria. Una sola nuova stella in tutta la regione. Non va a Max Poggi, sul quale la Michelin persevera in un’ostinata e incomprensibile sottovalutazione, ma a Giuseppe Gasperoni, maturo trentenne che ha riportato il Povero Diavolo di Torriana, nel Riminese, ai fasti di ottimi cuochi come Riccardo Agostini e Piergiorgio Parini.
E Bologna? Molte conferme, vuoto assoluto di novità. Il San Domenico di Imola mantiene le due magnifiche stelle di sempre. Una, ma non è poco, ai soliti noti: Amerigo (Savigno), il Marconi (Sasso), Agostino Iacobucci (Villa Zarri, Castel Maggiore) e, in città, ai Portici. Non era scontato per il raffinato ristorante di via Indipendenza, che si è da poco affidato allo chef Gianluca Renzi, dopo l’uscita del bravissimo Emanuele Petrosino.
Il resto è noia. La guida è una fotocopia pressoché totale della scorsa edizione, perfino nelle conferme dei cosiddetti bib gourmand, i locali con pasti di qualità a prezzi contenuti (Al Cambio, Osteria Bartolini, Trattoria di via Serra, oltre alla Grotta di Sasso Marconi e l’800 di Argelato).
Nessuna nuova insegna segnalata in città, anche se qualche novità interessante ci sarebbe pure. I 17 ristoranti citati l’anno scorso ci sono tutti, compreso Sotto l’Arco di Alessandro Panichi, altro talento che meriterebbe maggiore attenzione.
Stesso discorso in provincia. Spunta l’accurata cucina di pesce dell’Ensama, a Sala Bolognese. Continuano a non spuntare due o tre locali, di collina e pianura, che meriterebbero almeno una citazione. È perfino imbarazzante fare nomi che ripetiamo da anni.
Ci sono ottimi indirizzi ormai classici come Buriani a Pieve di Cento, il Mirasole a San Giovanni e l’Antica trattoria di Sacerno, ma è curioso che la Michelin non riesca mai ad aggiungere qualche indicazione in più, magari solo per incoraggiare bravi cuochi, giovani e meno giovani, che non mancano. Insomma, è la solita Michelin, un po’ lenta e un po’ miope, che continua a raccontare Bologna come una mediocre periferia del buongusto, che premia Napoli più di Roma e Milano, che considera l’Alto Adige un bengodi della ristorazione e la Toscana un vulcano di creatività e qualità. Magari avrà qualche ragione, ma continua a non convincerci affatto.