"Ditemi una buona ragione perché debba fare questo concerto?". "Perché altrimenti lo fa un altro". "Allora lo faccio". Sul grande schermo Francesco Guccini riassume così il sì a quello che sarebbe diventato La Via Emilia e il West, uno dei grandi eventi di piazza della storia della canzone d’autore italiana. "Non so chi tra il mio manager Renzo Fantini e l’assessore alla cultura di Bologna del tempo Nicola Sinisi ebbe l’idea del concerto in Piazza Maggiore. Era il 1984 e tutto nacque dal fatto che vent’anni prima avevo scritto Auschwitz col titolo La canzone del bambino nel vento. Non immaginavamo che avremmo riempito la piazza fino al Portico del Pavaglione e la Piazza del Nettuno fino a Viale Indipendenza".
Memorie virate ocra che l’uomo della locomotiva affida all’introduzione di Francesco Guccini: fra la Via Emilia e il West il film-concerto completamente restaurato in audio 5.1 presentato ieri da Nexo Studios al cinema Arcobaleno di Milano, dopo l’anteprima bolognese del 21 giugno proprio in Piazza Maggiore, nell’attesa dell’approdo nelle sale solo per tre giorni, dal 5 all’8 dicembre, in occasione del quarantesimo anniversario. Diretto da Giuliano Nicastro, questa riedizione del concertone si accompagna alla ripubblicazione il 6 dicembre dell’album dal vivo attinto dalla serata che, scartando le esibizioni di ospiti come Equipe 84 (senza Maurizio Vandelli), Viulan, Nomadi, Deborah Kooperman, Paolo Conte, Lucio Dalla e Pierangelo Bertoli, focalizza tutta l’attenzione sul repertorio gucciniano. "Il titolo nasce dalla frase di una mia canzone usata in un romanzo" racconta. "Al tempo si nasceva in casa. E io sono nato a Modena in una strada che da un lato finiva sulla via Emilia, questa strada fantastica, leggendaria, che in certi tratti di Bologna conservava ancora il lastricato romano, col ricordo delle legioni di Roma che andavano avanti e indietro, ma anche de carri trainati dai buoi dei contadini padani. Dall’altra parte della strada c’era la campagna dove negli anni Quaranta e Cinquanta noi ragazzi sognavamo l’America giocando a indiani e cowboy suggestionati dai film di allora. Metafora poi utilizzata pure da alcuni giornalisti per parlare della situazione emiliana tra modernità e tradizione".