Una nuova rassegna musicale prende il via sotto il titolo di Urban Opera Festival, ospitata nelle prime tappe all’interno del cartellone La Soffitta, promosso dal Dipartimento delle Arti dell’Università. Si comincia domani al Teatro del DAMSLab (piazzetta Pasolini 5b, ore 21) con lo spettacolo Je veux encore chanter, che percorre la storia del teatro musicale dal passato alla contemporaneità, toccando alcuni dei temi più consueti – l’amore, l’abbandono, la morte, il conforto – attraverso una decina di brani operistici adunati e rielaborati dalla drammaturgia musicale di Virginia Guastella, la regia e la creazione immagini di Fabio Iaquone, l’installazione scenica di Erminia Palmieri, con la collaborazione di studenti del Dipartimento delle Arti. La voce sarà quella del mezzosoprano Chiara Osella, accompagnata al pianoforte da Andrea Rebaudengo.
A Virginia Guastella, pianista e compositrice di origini palermitane, da 20 anni trapiantata a Bologna, chiediamo di illustrarci le ragioni di questo nuovo festival, di cui è fondatrice e direttrice artistica.
"È un progetto a cui stavo pensando prima della pandemia, ma che si è poi concretizzato solo negli ultimi mesi in questa edizione iniziale estesa fino alla primavera 2023. Scopo di Urban Opera Festival è portare lavori del teatro musicale antico e contemporaneo in luoghi urbani non pensati per ospitare eventi operistici: verranno individuati via via nel tempo, insieme a un pubblico al di fuori di quello che tradizionalmente già frequenta gli spettacoli d’opera. Le nostre proposte saranno innovative: forme di teatro musicale aperte, in una idea inclusiva del termine ‘opera’, che non neghi il suo glorioso passato, ma neppure limiti possibilità future originali e variegate".
Potremo dirla ancora opera? "L’opera è uno storytelling condotto attraverso molteplici strumenti: parola, voce, musica e rappresentazione di un’azione, tutte componenti stilisticamente legate al percorso da cui provengono gli artisti. L’importante è non andare verso la deriva di una inclusività intesa in senso negativo. La tradizione passata ci ha tramandato molti modi di concepire l’opera, attraverso uno stile in evoluzione. Ho una formazione di stampo accademico e mi tengo quindi aggrappata al termine ‘tradizione’; ma, a ben guardarla, la stessa tradizione emerge tanto ricca e sfaccettata quanto la contemporaneità. È del resto vera linfa per il teatro suscitare reazioni da parte del pubblico, positive o negative che siano. Per chi, come me fa il mestiere della compositrice, tutto ciò è fisiologico: solo l’indifferenza ci fa paura".
Marco Beghelli