Gualandi uccise la collega vigilessa. Il giudice gli concede i domiciliari. Ma non c’è il braccialetto elettronico

Il gip: "Non c’è pericolo di reiterazione del reato, può uscire dal carcere". Ricorso della Procura al Reisame. Intanto la perizia balistica del Ris sulla dinamica lascia aperto lo scontro fra accusa e difesa.

Gualandi uccise la collega vigilessa. Il giudice gli concede i domiciliari. Ma non c’è il braccialetto elettronico

Giampiero Gualandi in tribunale in una foto dei mesi scorsi, quando è stato interrogato dal giudice dopo il delitto

Giampiero Gualandi dovrebbe uscire dal carcere e andare agli arresti domiciliari, ma per il momento il vigile accusato di aver ucciso la collega Sofia Stefani con un colpo di pistola rimane alla Dozza perché non ci sono braccialetti elettronici disponibili. Il tutto mentre emergono i primi risultati della perizia balistica disposta dalla Procura e affidata ai carabinieri del Ris: i periti nel primo documento depositato nei giorni scorsi avrebbero ritenuto plausibile la versione fornita da Gualandi, ovvero quella di uno sparo partito in modo accidentale durante una colluttazione con Sofia, ma la Procura ha chiesto ai Ris ulteriori precisazioni e la successiva integrazione avrebbe invece confermato l’impostazione accusatoria, cioè quella di un omicidio volontario. Non solo: un’altra perizia, stavolta di natura biologica, ha escluso presenza del Dna della vittima sulla pistola, confermando invece la presenza di quello dell’indagato.

Sono queste le novità nell’ambito dell’inchiesta aperta sul delitto avvenuto lo scorso 16 maggio nel comando della polizia locale di Anzola. Quel giorno Gualandi, l’ex comandante di 62 anni, uccise appunto di Sofia Stefani, 33 anni, sua ex collega con cui aveva avuto una relazione. Da quel giorno Gualandi, accusato di omicidio volontario aggravato, si è sempre difeso dicendo che era stato un incidente dovuto al fatto che la donna, che non accettava la fine dalla relazione voluta dall’uomo, l’aveva aggredito piombando all’improvviso nel suo ufficio e cercando di impugnare la pistola che si trovava sulla scrivania. Così era nata la colluttazione, finita in modo tragico. Una versione che non ha mai convinto il pm Stefano Dambruoso e la procuratrice aggiunta Lucia Russo, titolari dell’inchiesta affidata ai carabinieri.

Nei mesi scorsi il gip Domenico Truppa aveva respinto la richiesta dei domiciliari presentata dall’avvocato di Gualandi, Claudio Benenati, così come avevano fatto il Riesame e poi, il 17 ottobre, anche la Cassazione. Ma il difensore ha riproposto l’istanza al gip e, lo scorso 21 ottobre, Truppa l’ha accolta, sul presupposto che ormai è passato parecchio tempo e non sussiste il pericolo di reiterazione del reato, visto che il movente era troncare la relazione con Stefani, la vittima. Nonostante la decisione del giudice, però, Gualandi si trova tuttora in carcere, come detto, perché non è stato ancora reperito il braccialetto elettronico. Infatti a Bologna, come nel resto d’Italia, di solito passano alcune settimane prima di trovare un braccialetto. La Procura ha comunque già proposto ricorso al Riesame e l’udienza è fissata al 15 novembre.

"Ritengo che il provvedimento del gip che ha revocato la misura della custodia cautelare in carcere all’indagato sia viziato alla radice – dice l’avvocato Andrea Speranzoni, che assiste i genitori di Sofia Stefani –. Credo che l’omicidio abbia natura volontaria e premeditata e abbia caratteristiche tali particolarmente deumanizzanti e brutali".

Gilberto Dondi