Bologna, 9 gennaio 2022 - Noi del Carlino siamo entrati in possesso di più di 1.700 Green pass autentici provenienti da tutta Italia. Certo, c’è qualche duplicato e molti non sono validi. Ma esaminandoli attentamente abbiamo individuato, tra tutti, una serie di certificati in grado di passare (senza problemi) la scansione del fantomatico ’Qr code’.
AGGIORNAMENTO Green pass da Emule news, Procura in campo
Ma com’è finita nelle nostre mani una quantità così inaudita di Green pass? Questa volta non c’entra nulla Telegram, l’app di messaggistica prediletta da No vax e truffatori 2.0. Tantomeno il complicato e macchinoso dark web o l’aiuto di qualche mediatore tra il mondo della burocrazia e quello della sanità. Bensì un vecchio (e in disuso) sito per la condivisione dei file molto in voga negli anni 2000: si tratta di Emule.
Green pass per sbaglio su Emule
Il motivo per il quale è possibile trovare così tanti Green pass su Emule si cela dietro due (possibili) cause. La prima riguarderebbe la negligenza degli utenti del sito. C’è una platea di iscritti, infatti, che ha questo software in uso sul proprio computer e condivide tra le impostazioni la cartella Windows dei downloads. In questo modo la cartella dei file che ogni utente scarica sul proprio pc viene automaticamente (grazie all’impostazione del programma) condivisa sulla rete privata di Emule. E così tutto il contenuto è a disposizione di qualsiasi altro utente della stessa rete.
Cacciatori di certificati
Ma c’è di più. Su Emule, oltre ai certificati in file pdf degli inconsapevoli cittadini che hanno scaricato il proprio Green pass (e involontariamente condiviso con il mondo), sono presenti degli archivi zip e rar. Questi formati non hanno nulla a che vedere con la negligenza, anzi. I cacciatori di Green pass, in questo caso, si approfittano dell’ incuranza delle ‘vittime’ di Emule per collezionare e condividere (appositamente) grandi quantità di Green pass validi. Li mettono a disposizione di chiunque oppure li vendono su Telegram.
Il nostro test
Ecco perché, per testare la validità di questi certificati, ne abbiamo scaricato uno e scelto dei luoghi dove vige l’obbligo di esibire il Green pass. Il primo test l’abbiamo effettuato in un cinema. Dopo aver pagato il biglietto ci è stata chiesta la scansione del ’Qr code’. Ma nessun problema, non appena è stato inquadrato ecco la schermata verde che conferma la validità di due dosi di vaccino somministrate all’ignaro utente proprietario del Green pass. Sul registro degli ingressi, tra l’altro, siamo stati iscritti con l’identità di quest’ultimo.
Scenario del tutto uguale in un pub del centro. "Dentro o fuori?", "Dentro", "Ci serve Green Pass allora". Luce verde e via libera per un tavolo in mezzo ad altre persone regolarmente (si presume) vaccinate.
Il nostro test è proseguito in un ristorante: all’ingresso un cameriere ci ferma per chiederci di esibire il Green pass, glielo mostriamo e "bene, vi faccio strada per il tavolo". Ed eccoci a pranzare in mezzo a famiglie e coppie che di dosi ne hanno almeno due. Nessuno ci ha mai chiesto un controllo incrociato con un documento d’identità, nonostante la data presente sul Green pass fosse ben lontana dalla nostra data di nascita.
Il Maggiore si salva per il booster
Ultima tappa del test è uno dei luoghi più delicati in tempi di pandemia: l’ospedale. All’ingresso del Maggiore un uomo della sicurezza ci chiede prima in che piano dobbiamo andare, poi il Green Pass. Ma niente luce verde questa volta, la schermata del suo smartphone è arancione. "Cosa deve fare in ospedale? Una visita medica o è venuto a trovare un parente?", ci chiede. "Una visita a un parente", rispondiamo. "Allora è necessaria la terza dose, dal suo Green pass vedo che ne ha due. Quindi o torna con la terza o, sennò, può presentarsi con questo Green pass e un tampone che accerti la negatività".
Niente da fare, in ospedale non siamo entrati. Ma solo perché abbiamo dato la risposta sbagliata: se avessimo detto che eravamo lì per una visita medica, allora il nostro certificato verde altrui sarebbe bastato.
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