
Palazzo Bianconcini a Bologna (foto Schicchi)
Bologna, 26 dicembre 2018 - Se questa è ‘arte’.... Probabilmente in un mondo a rovescio la formula potrebbe persino funzionare. La realtà però è che troppo spesso i palazzi del centro storico vengono scambiati per tele bianche dai frequentatori della bomboletta, e i loro imbrattamenti assomigliano a tutto fuorché ad arte. Una tematica da sempre nel cuore dei cittadini, ora al centro dell’impegno dell’amministrazione. Tutti, pian piano, si stanno prendendo cura del rosso mattone bolognese: dal bando antigraffiti, lanciato dal Comune, fino alle opere di manutenzione di Caab e Ascom fra piazza Aldrovandi e via Guerrazzi. Resta però un patrimonio fragile – e difficile da controllare – quello dei palazzi storici, costantemente presi di mira dai vandali.
La ‘passeggiata’ comincia simbolicamente sotto il portico settecentesco dell’Accademia di Belle Arti, cuore della zona universitaria. Il complesso della Chiesa di Sant’Ignazio e Noviziato dei Gesuiti, in cui ha sede anche la Pinacoteca nazionale, è stato più volte ridipinto, ma nonostante tutto porta i segni lasciati dai grafomani. Basta risalire la via di qualche centinaio di metri per trovarsi davanti lo scempio di palazzo Bianconcini. L’intonaco della costruzione di origine quattrocentesca, che oggi ospita il Dipartimento di Scienze statistiche, è letteralmente ricoperto di ‘tag’.

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Non è stato risparmiato nemmeno palazzo Nuovo Costanzo Bentivoglio, all’angolo con via delle Moline, terzo edificio storico imbrattato in via Belle Arti. All’inizio di via Galliera si trova palazzo Felicini Fibbia, eretto nel 1497 ed esempio del primo Rinascimento bolognese: anche l’edificio che avrebbe ospitato Leonardo Da Vinci nel 1515 non è sfuggito alle bombolette spray.
Proprio come palazzo Gnudi (in via Riva di Reno), sfregiato nel suo muro orientale. Tornando indietro, una tappa obbligata è senza dubbio Palazzo Grassi, costruzione del ’200, oggi sede del Circolo ufficiali, che conserva ancora il portico in legno e, purtroppo, anche un graffito nero accanto all’ingresso. A pochi passi, in via Goito, palazzo Bocchi, inaugurato nel 1546 su progetto di Jacopo Barozzi da Vignola e sede dell’accademia Hermatena, presenta un ‘tag’ di colore viola proprio sotto il ben noto fregio in latino e in ebraico.
Risalendo fino a via Ugo Bassi e proseguendo, prima sotto le Due Torri, poi in Strada Maggiore, sulla sinistra si trova palazzo Gessi, costruito attorno al 1580, per volere di Vincenzo Gessi, parente di papa Gregorio XIII Boncompagni; dalla strada sono ben visibili i graffiti sulle colonne. In zona universitaria è impossibile non notare la quantità di graffiti che ricoprono il Conservatorio di piazza Rossini, e l’immenso murale, opera del Cua su palazzo Paleotti.