Giuseppe Fanin, sindacalista cattolico, attivista delle Acli di Bologna, venne assassinato la sera del 4 novembre 1948 mentre rincasava in bicicletta. Lo aggredirono a bastonate tre militanti comunisti. Raccolto in fin di vita il giorno dopo morì in ospedale. Oggi viene ricordato con una cerimonia nel 75esimo anniversario del delitto proprio a San Giovanni Persiceto dove abitava e dove venne ucciso. Fanin rimase vittima del clima di odio e di resa dei conti seguito alla fine della guerra quando i comunisti sognavano ancora di instaurare in Italia un regime di stile sovietico. Proprio nel 1948 in questo scenario si verificò la rottura tra la componente comunista del sindacato e la componente cattolica che diede vita ad un organismo autonomo. Il giovane Fanin pagò con la vita l’impegno in questa direzione. I tre militanti comunisti lo aggredirono per "dargli una lezione", istigati dal segretario della locale sezione del Pci che poi per primo confessò il crimine. Fanin aveva sapeva di essere nel mirino, ma continuò per la sua strada, portando avanti le idee del sindacalismo cattolico. Era il terzo dei dieci figli di una coppia di immigrati veneti. Dopo la laurea in agraria aderì alla Libera Cgil. Bastarono pochi mesi a renderlo inviso alla componente comunista del sindacato. Era il clima che si respirava in Emilia Romagna dove l’onda di rivalsa verso il fascismo sconfitto colpì anche migliaia di civili senza alcuna colpa.
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