Un bianco a perdita d’occhio, un paesaggio straniante e doloroso, una natura in tumulto incapace di qualsiasi forma idilliaca. Non poteva essere ambientato che in uno spazio asettico, fantasmatico e ricreato da un’antica macchineria l’incontro di Motus con l’immaginario travolgente di Mary Shelley, l’antesignana femminista autrice a 19 anni di ‘Frankestein’, considerato il primo romanzo gotico di fantascienza (siamo nel 1818). E non poteva, la storica compagnia riminese, non avvicinarsi prima o poi all’emblema della diversità e del pregiudizio e a quel confine pericoloso che sta l’umano e l’artificiale. "Forse l’idea ci è arrivata da altri nostri spettacoli – spiega Daniela Nicolò, fondatrice con Enrico Casagrande di Motus – come ‘MDL SX’ o ‘Tutto brucia’ dove indagavamo figure quali Calliope e Ecuba". ‘Frankenstein (a love story)’ apre venerdì alle 20,30 (con replica sabato alle 19) la stagione dell’Arena del Sole e "questa inaugurazione, per quanto sia superato suddividere gli spettacoli in categorie, rappresenta – dice il direttore artistico di Ert Valter Malosti – un atto simbolico rivolto al nuovo teatro".
Ideata e diretta da Nicolò& Casagrande, sostenuta dalla drammaturgia di Ilenia Caleo, prodotta da Motus con altri organismi tra cui Ert, la performance mette in scena tre interpreti soprattutto monologanti: Silvia Calderoni, Alexia Sarantopoulou e lo stesso Casagrande. La prima sarà Victor, il creatore; la seconda Mary Shelley, la creatrice; il terzo, la creatura. Casagrande torna a recitare dopo vent’anni. "Abbiamo pensato – chiarisce – che questa formula lo richiedesse. Raccontiamo tre solitudini radicali che si intrecciano". ‘Frankestein’ è argomento che ben si confà a una compagnia che ha sempre operato sulle più aspre contraddizioni del presente: il prossimo anno Nicolò e Casagrande lavoreranno infatti a un’ulteriore tappa, ovvero a un film, il cui titolo – ‘Frankenstein (a history of hate)’ – indica appunto il desiderio di indagare su un sentimento dilagante come l’odio.
La compagnia ha realizzato l’allestimento cucendo vari episodi, scomponendo e ricomponendo i diversi frammenti letterari, creando visioni anche grazie all’apporto degli scritti di studiose contemporanee. E partendo dalla considerazione che mentre nei romanzi gotici è il luogo a provocare la paura, qui l’orrore esiste nel corpo. Una storia che disegna una nuova geografia del terrore, che si muove come scatole cinesi e che denuncia l’insensibilità degli umani per chi non è ‘conforme’ e finisce relegato nella sfera degli esclusi, dei maledetti e dei senza nome. La scelta di portare Mary Shelley in scena – spiega Nicolò – nasce proprio dal fatto che lo spettacolo è nato non solo dal romanzo (che lei definiva ‘orrenda progenie’) ma anche dalle suggestioni legate alla vita dell’autrice. "A lei – ricorda – era stata inizialmente offerta la possibilità di pubblicare il libro ma a nome del marito". E Silvia Calderoni sottolinea fra i tanti temi, il testo affronta quello della riproduzione libera. Dunque, pronti al via: il direttore Malosti si augura che all’inaugurazione di venerdì possano essere rimossi i cartelli di protesta dei dipendenti visto che al momento sono in corso trattative.