Bologna, 6 ottobre 2018 – È morto ieri a 86 anni Franco Pannuti, primario di Oncologia al Sant’Orsola e fondatore dell’Ant, l’associazione che cura i malati oncologici a domicilio. La camera ardente sarà oggi dalle 13 alle 17 nella sede della fondazione Ant in via Jacopo di Paolo e domani dalle 10 alle 14 in sala Tassinari a Palazzo d’Accursio. I funerali saranno domani alle 14.30, nella cattedrale di San Pietro.
«‘Papà guarda che non puoi morire quando io non ci sono’, gli ho detto qualche settimana fa. ‘Te lo prometto’, mi ha risposto. E adesso lo ringrazio anche per questo, perché ero lì con lui». Raffaella Pannuti, 45 anni, presidente dell’Ant, si commuove, ma va avanti per ricordare il padre che sette anni fa le ha passato il testimone.
Raffaella, quali sono state le ultime parole del professor Franco Pannuti (FOTO)?
«‘Fate quello che dev’essere fatto’. È stato coerente fino in fondo con la sua vita: assistenza, ma senza accanimento terapeutico».
È morto in ospedale, lui che ha dedicato tutte le sue energie alla fine della vita in casa. Dispiaciuta?
«Purtroppo era in dialisi da tempo e quindi faceva avanti e dietro dal Sant’Orsola. La crisi cardiaca lo ha colpito mercoledì, durante la terapia, poi è entrato in coma. Ringrazio tutto il personale che l’ha assistito».
Quale eredità le ha lasciato suo padre?
«Da quando mi ha voluto come garante della Fondazione mi ha sempre detto ‘sii umile, onesta e trasparente’. E da poco mi aveva riparlato di queste tre caratteristiche. Con lui è finita un’epoca per lo spirito di grande passione e umanità che sapeva trasmettere, ma questa è anche l’eredità che ha lasciato a me, a Bologna e direi all’Italia. La sua grande intuizione socio-sanitaria, il modello proposto quarant’anni fa, che allora sembrava fantascientifico, ha poi ispirato la legge 38 del 2010 sulle cure palliative».
Come mai quel modello ha avuto tanto successo?
«Perché racchiudeva un’idea di solidarietà senza confini. La sua forza era quella di riuscire a trascinare le persone. Poi le istituzioni sono venute dietro. Aveva la capacità di comprendere sia come padre – e infatti riusciva a capirmi – sia come presidente di Ant, intuendo le necessità delle persone e dei pazienti».
Quale ruolo ha avuto Bologna?
«Fondamentale: è stata la sua città natale, dalla quale ha preso ispirazione, la sua base di partenza. Poi però l’attività si è allargata e lui diceva così: ‘Ci sono persone che hanno bisogno di noi a Brescia, in Puglia, in Toscana: allora andiamo’. Si è anche impegnato politicamente per la sua città, quando è stato assessore. Ed è stato bello che nel 2006 il sindaco Cofferati gli abbia assegnato l’Archiginnasio d’oro».
Agli inizi, far tornare i conti non era sempre facile. Ci sono stati momenti di sconforto?
«Sì, ma alla fine l’amore delle persone, degli assistiti, dei volontari e dei sostenitori ci ha permesso di andare avanti e guardare con ottimismo al futuro. Ricevo tante lettere e una mi ha colpito: «Siete degli angeli, vi ringrazio».