Che effetto fa a Francesco Guccini tornare in un’osteria? "Ma è una storia vecchia – risponde il Maestrone al telefono dal suo eremo di Pavana –. Ho lasciato le Dame nel ‘73 e tutta questa storia delle osterie è più leggenda che verità". Sarà. Fattostà che sono andati esauriti in un baleno i posti per l’incontro che lui tiene oggi alle 18,30 alla Cantina Bentivoglio nell’ambito del ciclo ideato dalla docente dell’Alma Mater Francesca Florimbii ‘Lo spazio della parola. Aperitivi filologici’. E’ il terzo appuntamento della rassegna dopo quelli con Alberto Bertoni e Pietro Del Soldà (dedicati rispettivamente ai vocaboli nella poesia e nei media) e prima di quelli con Vetrano-Randisi (la parola del corpo, 25 maggio) e Loredana Chines (la parola in aula, 8 giugno). Francesco parlerà ovviamente di canzoni (o meglio di testi delle canzoni) e precisa subito che non arriverà con una relazione bella pronta. "Risponderò alle domani che mi fanno", spiega. E’ questa una delle rare occasioni di incontrare il Maestrone sempre più restio ad uscite pubbliche: "Ho 83 anni – ci scherza su – e c’è un proverbio modenese che spiega come i vecchi debbano restare a casa ben coperti". Il professor Bertoni, docente di letteratura italiana all’università, ha spiegato che noi abbiamo a disposizione circa centomila parole grazie alla stratificazione dei dialetti ma che un ragazzo oggi ne usa normalmente non più di duemila.
Viene da chiedersi allora come sono cambiati i testi delle canzoni. Guccini, si cerca ancora la poesia?
"La fioritura degli anni Settanta-Ottanta è svanita. Non vedo profondità. I cantautori un tempo raccontavano cose molto serie ma, a parte qualche caso, quella gente ormai non c’è più".
E lei quanto tempo impiegava per trovare le parole giuste di una canzone?
"Non c’è mai stata una regola. A volte un testo sgorgava naturalmente, forse perché frutto di quello che leggevo qua e là, a volte avevo bisogno di maggiore riflessione. Mi è anche capitato di avere un’intuizione tardiva, magari riascoltando un brano già inciso".
Ma c’è un testo, ci sono parole di cui va più fiero?
"Un certo numero di canzoni, di cui non voglio fare i titoli, mi sono uscite meglio di altre. E’ ovvio che sia così. Non c’è però un titolo a cui sono legato in maniera particolare".
Non crede che adesso si parli troppo in assoluto?
"A me pare che l’italiano sia funestato dal linguaggio pubblicitario. A un certo sostantivo si abbina sempre un certo aggettivo".
Nei suoi libri esiste quindi molta cura delle parole. Quando uscirà il prossimo?
"Con Loriano Macchiavelli siamo in dirittura d’arrivo per il nuovo romanzo, dobbiamo solo ultimare pochi capitoli. Poi, forse, comincerò da solo a scrivere alcuni racconti".
Di cosa parla il libro in uscita? "È un giallo e se ne parlo che giallo è?".
c. cum.