Bologna, 14 dicembre 2023 – "Sinisa portava positività, tenacia e coraggio in tutto quello che faceva. È questa la lezione che ha lasciato: non darsi mai per vinti, provarci sempre". Francesca Menarini conosce bene la forza titanica di un uomo che aveva la forza di scalare a mani nude le montagne.
Non foss’altro perché fu lei, da presidente del Bologna, ad affidare la panchina rossoblù a Mihajlovic, l’uomo e l’allenatore di cui sabato ricorre il primo anniversario della scomparsa. Era il novembre 2008, Mihajlovic si era fatto le ossa in panchina con due stagioni da vice di Roberto Mancini all’Inter e il Bologna, dopo una partenza-choc in campionato, individuò in Sinisa il sostituto dell’esonerato Daniele Arrigoni Francesca Menarini, sono passati giusto quindici anni.
"Il primo giorno di Mihajlovic a Casteldebole lo ricordo come se fosse ieri: ricordo il suo carisma, la sua voglia di fare, la sua sicurezza. E dire che da un punto di vista sportivo era una sfida molto complicata: debuttare in panchina ereditando una situazione pesante di classifica non era da tutti. Ma lui era Sinisa".
Un leone indomito.
"Soprattutto un uomo che non aveva paura di niente, come poi ha dimostrato nella sua lunga e sfortunata battaglia contro la malattia. Mai un passo indietro, mai un tentennamento: ma penso che dipendesse dal suo vissuto".
Ovvero?
"Serbo, cresciuto in una famiglia che ha dovuto fare i conti con la guerra: credo che questo avesse forgiato il suo carattere. Nelle cose che faceva io ci vedevo un comprensibile desiderio di riscatto".
Un anno senza di lui: che vuoto ha lasciato?
"Personalmente mi mancano le sue esternazioni, mai banali: si poteva essere d’accordo o dissentire, ma non si poteva che ammirarne la coerenza. Amava le provocazioni, era una voce contro. E poi sapeva essere dissacrante come pochi".
Qual è il suo lascito più prezioso?
"Potrei parlare del calciatore e dell’allenatore, ma la lezione più bella l’ha lasciata il Sinisa uomo: lottare fino all’ultimo, non darsi mai per sconfitti".
Anche se, purtroppo, alla fine la leucemia, bussando per la seconda volta alla sua porta, ha avuto la meglio.
"La sua battaglia contro la malattia non è finita nel modo in cui tutti speravamo. Ma questo non toglie valore al suo coraggio, al suo travaglio, al suo presentarsi a Casteldebole dopo i cicli di chemio o a Verona quel pomeriggio in panchina".
Sinisa gettava sempre il cuore oltre l’ostacolo.
"Lo fece anche nel mio Bologna. In quei pochi mesi mostrò un attaccamento al club che non era scontato per uno che aveva una carriera da calciatore così importante alle spalle".
Lo sciarpone rossoblù con cui si accomodava in panchina ha fatto epoca.
"Fu la vera icona di quell’avventura, qualcosa che mi porterò sempre dentro. Ma penso che anche Sinisa, se fosse ancora tra noi, conserverebbe uno splendido ricordo di quei suoi primi mesi da allenatore del Bologna. E a maggior ragione della sua seconda esperienza a Casteldebole: sono sicura che un po’ del suo cuore lo avesse lasciato qui".
Un burbero dal cuore grande.
"Sì, come testimonia anche la sua bellissima famiglia: Sinisa l’ha voluta, cercata e costruita così. Ha tirato su dei figli e da quel che posso capire è stato un padre sempre molto presente nelle loro vite, oltre che in quella di Arianna. Anche in questo si è dimostrato speciale".