
’Ferdinando’ di Annibale Ruccello, ambientato alla caduta del Regno delle Due Sicilie
Donna Clotilde, baronessa borbonica, non accetta l’umiliazione di assistere all’ascesa sociale della borghesia e si rinchiude in un forzato isolamento. È l’arrivo del giovane Ferdinando, dalla bellezza "morbosa e strisciante", a sparigliare le carte di una famiglia della vecchia classe in decadenza. In prima regionale stasera alle 21 al Teatro Laura Betti di Casalecchio, ‘Ferdinando’ è l’indiscusso capolavoro dello scrittore e regista napoletano Annibale Ruccello, prematuramente scomparso nel 1986. A curarne la regia è Arturo Cirillo (che interpreta Don Catello). Sul palco, assieme a lui, Sabrina Scuccimarra, Anna Rita Vitolo e Riccardo Ciccarelli.
Cirillo, dopo ‘Il Gattopardo’, anche il suo Ferdinando ci riporta all’Unità d’Italia… "Nel testo di Ruccello io ci vedo Il Gattopardo di Luchino Visconti, Teorema di Pier Paolo Pasolini, Le serve di Jean Genet e i film di Luis Buñuel. È vero: è ambientato negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, ma è uno spettacolo figlio del Novecento. Affronta la psicanalisi, l’inconscio, le perversioni, i deliri e le solitudini".
Lei dice che l’autore fa fuori i generi sessuali. Cosa intende? "Anche il sesso viene discusso. Da una parte è qualcosa di estremamente fisico e animalesco, dall’altra viene vissuto come un elemento punitivo e peccaminoso. Nell’affrontare questi temi, la scenografia aiuta molto: la pièce si svolge in un unico ambiente, il drappo che adorna la camera non è più un arazzo. Diventa il pavimento, il tappeto del luogo scenico e, se vogliamo, un ring".
Aveva già portato in scena ’Ferdinando’ una decina di anni fa. Perché ha deciso di riproporlo? "Era un sogno nel cassetto, volevo far rivivere lo spettacolo che feci 12 anni fa e che non venne mai ripreso".
Cosa c’è di diverso in questa rappresentazione? "Molto, di quel ‘Ferdinando’, è rimasto identico: la scenografia, i costumi, le musiche. Ma quando si recita con altri attori, giocoforza, cambia anche lo spettacolo, che è diventato più profondo e maturo".
Conobbe Annibale Ruccello? "Ero un ragazzino e lo vidi recitare al teatro Nuovo di Napoli, nel cuore dei Quartieri Spagnoli. Ma da quando frequento la sua drammaturgia, sia come regista sia come attore, mi sembra di sentirlo molto vicino".
Cosa la lega a questo autore? "Mi commuove la sua storia. È morto a 30 anni in un incidente. È stato il fratello che non ho mai avuto, pieno di talento e di vita. L’ho immaginato nella casa della madre, a Stabia, che cercava la sua dimensione andando a vedere i film della Hollywood anni ’50".
I prossimi impegni? "Con gli allievi della scuola del Teatro Nazionale di Napoli stiamo lavorando a ‘Orge per George’, un’operazione di queer di Athos Mion, che andrà in scena il 3 e 4 giugno all’Arsenale di Venezia".
Amalia Apicella