L’appello che si fa in classe non è solo un semplice elenco. Rispondere "presente", può essere sinonimo di riconoscimento. È questo il messaggio che Alessandro D’Avenia, scrittore, professore e sceneggiatore di successo, vuole trasmettere al pubblico dell’Oratorio di San Filippo Neri stasera alle 20.30. All’interno della rassegna ’I prof’, nell’’ambito della programmazione del LabOratorio, curata da Mismaonda, D’Avenia trascinerà gli spettatori in una lectio ispirata dalla sua esperienza di vita e di insegnamento.
Nel suo spettacolo lei mette l’accento sull’importanza di dare un’identità ai giovani, anche tramite l’appello: secondo lei è difficile per i ragazzi capire chi sono?
"L’età per farlo è esattamente l’infanzia e l’adolescenza. Se l’essere umano impiega tanto tempo per diventare autonomo, rispetto agli animali, è perché ha bisogno di cura per far fiorire la propria unicità. Per fare questo ci vuole tempo e sguardo, esattamente come l’appello: è un chiamare per nome e sentire la risposta che quel nome può dare alla vita. La nostra scuola è ancora preoccupata che i ragazzi giustifichino la loro assenza, ma non la loro presenza, abbiamo sostituito le vocazioni con esami, e i destini con le carriere".
Il suo spettacolo è parte della rassegna ’I prof’: crede che coniugare l’insegnamento alla messa in scena possa essere un metodo efficace di apprendimento?
"La didattica è una branca del teatro, che per gli antichi era scuola a tutti gli effetti. Siamo ancora così legati a forme che non danno più vita che le difendiamo ciecamente, ma conservare ciò che è già morto si fa solo al cimitero. La vera scuola non è l’edificio, ma è ovunque riusciamo a incontrare il mondo in modo autentico, capendo cosa ha valore. In questo incontro scopriamo noi stessi: noi apprendiamo solo dove il mondo ci interpella, ci chiama".
Lei dice di analizzare la scuola come un luogo "tutto fuorché perfetto, ma in cui si può sperare in un cambiamento": a che cambiamento si riferisce?
"La scuola è essenziale per la crescita dell’essere umano, ma dovrebbe celebrare l’unicità di ciascuno. Per fare questo bisogna rendere il sistema di nuovo capace di dare vita, e le cose da fare sono evidentissime. Una scuola basata sistematicamente sul precariato non può che essere un fallimento. E questo è solo un aspetto, forse il più eclatante".
Come descriverebbe al pubblico il suo spettacolo? Che Alessandro D’Avenia si devono aspettare?
"In realtà non è uno spettacolo, è un racconto. E i racconti aiutano a vedere meglio la realtà. È la mia idea di scuola, come la intendevano i greci: ’scholé’ significava tempo libero, tempo per dedicarsi a ciò che non muore e dà gioia. Sarà una festa per mente e cuore, o almeno io provo a far sì che sia così".
Alice Pavarotti