
di Gian Aldo Traversi
Là dove il jazz è presente come un retrogusto, quando l’ispirazione è crepuscolare, mettersi all’ascolto dell’interplay cui danno vita Fabrizio Bosso e Rosario Giuliani, una tromba refrattaria per la sua grandezza a ogni vincolante ortodossia e un sax alto dal pathos leggero, visionario e oscuro, è come sfumare nel sogno di successi d’antan alternati a brani originali sapidamente soul. Un tandem che si nutre di parallelismi e affinità sigillati nel disco ’Connection’ che stasera sfoglia per il Bologna Jazz Festival in Cantina Bentivoglio (ore 22) con con Alberto Gurrisi all’organo e Marco Valeri alla batteria.
Bosso, con Giuliani edificate da tempo consonanze anche umane dal timing perfetto: a quando risale la prima ribalta condivisa?
"Al 2000, l’anno in cui incisi ’Fast Flight’, disco d’esordio da solista in cui Rosario fu ospite, ritrovandoci dopo intervalli di tempo anche lunghi, sempre con la voglia di inventarci formazioni che ci permettessero di suonare assieme. Come nell’album ’The Golden Circle’ scritto a quattro mani".
’Connection’ è insomma la prova ulteriore di pièce firmate in comunione creativa?
"Sì, se s’intende il flusso che ci pervade, ma per la struttura e le scelte separati. È un album del 2021 in otto brani di poliritmia costante, ingredienti che accordano al jazz la possibilità di produrre il meglio. Due sono miei, gli altri di Giuliani che mi dedica ’Fabrizio’s Mood’".
Al di là delle incursioni nel pop patinato con Gualazzi e Cammariere, s’è mai discostato dalla ricerca di significati legati alla tradizione afroamericana?
"Non è accaduto perché è il riferimento che prediligo e che cerco di rendere originale per quanto possibile".
Il jazz è musica di destra o di sinistra?
"Soprattutto non è politica, è di chi lo ama, l’ascolta e lo suona".
La curiosità di rilettura improvvisativa è il talismano con cui s’è accattivata la critica?
"Penso che a pagare sia l’improvvisazione fatta con libertà senza allontanarsi dai temi storici proposti".
Reattività che si nutre di coscienza, insomma…
"Sì, che vuol dire produrre assoli con un occhio di riguardo per gli altri musicisti. I più attenti lo percepiscono".
Metabolizzata l’ansia per l’infortunio domestico di agosto?
"Ce l’ho fatta. Ma sono state giornate taglienti e instabili, a rincorrere la fine di un incubo. Senza dare retta a chi mi consigliava di ingannare il tempo scrivendo un libro o un disco. L’arte non può fare da riempitivo. Dopo un mese e mezzo ho ripreso a suonare". Intanto il festival amplifica il fronte sonoro: stasera allo Sghetto Club luci sul Richard Spaven Trio ( 22.30).