REDAZIONE BOLOGNA

Via Emilia Ponente, terra di nessuno. L'ex Sabiem rifugio dei nomadi

Una cinquantina di persone vive da tempo dentro l'ex fabbrica (FOTO) di Andrea Zanchi

Bologna, Bignami e Lisei all'ex Sabiem (FotoSchicchi)

Bologna, 7 luglio 2014 – Due buchi nella ringhiera dell’ex Sabiem sono i varchi che danno accesso a una vera e propria città nella città, quella di senzatetto e nomadi. Che in ciò che resta dell’ex industria specializzata in produzione di ascensori — via Emilia Ponente angolo via Prati di Caprara, Santa Viola, chiusa dal 2008, un tempo vanto della meccanica bolognese — hanno trovato un rifugio e un comodo posto dove dormire (FOTO).

Entrare in questa nuova terra di nessuno è davvero semplice: dietro i bidoni della spazzatura su via Emilia Ponente ci sono due ingressi abusivi, uno a fianco di una delle colonne del cancello, l’altro qualche metro più in là, dove qualcuno ha creato un buco di forma quadrata.

SEGUENDO il sentiero principale, avvolto da una vegetazione così fitta da rendere impossibile capire dall’esterno cosa ci sia dentro, si arriva a un cancello di ferro. Superato questo varco si apre la vera e propria città nella città: ai bordi di un grande spiazzo, dove sono state abbattuti i capannoni più imponenti dell’ex industria, resistono ancora diversi edifici, un tempo uffici o reparti produttivi. Qui si sono sistemati almeno una cinquantina di nomadi, incuranti del degrado, delle pessime condizioni igieniche, delle montagne di rifiuti che si accumulano ovunque. Alcuni sono qui da tempo, altri si sono spostati dopo che i controlli e gli sgomberi nei vicini Prati di Caprara hanno reso difficile nascondersi lì.

Per entrare nei vecchi edifici interni della Sabiem i nomadi hanno sfondato i muri, creando dei piccoli ma utilissimi varchi. In altre parti, invece, è bastato piegare le pur pesanti recinzioni. Dentro, lo spettacolo si ripete uguale stanza dopo stanza: letti o materassi buttati per terra, qualcosa da mangiare, abiti sparsi un po’ ovunque, scarpe, bracieri improvvisati e relative pareti annerite dalle fiamme, calcinacci, tende utilizzate come improvvisati separè per garantirsi un po’ di privacy. I vestiti si mettono ad asciugare nel grande spiazzo, al sole, mentre in una zona del complesso, completamente sventrata e dove rispetto al livello stradale si apre una voragine di una decina di metri, nemmeno le reti di protezione e l’evidente pericolo hanno impedito ai nomadi di sistemarsi lì, qualcuno al ‘piano di sopra’, altri a quello di sotto (che in una sua parte viene usato come latrina collettiva).

TRE ANNI fa il Comune diede l’ok alla costruzione nell’area di alloggi residenziali, con torri alte fino a 13 metri, di un parcheggio interrato da 250 posti e di un altro centinaio di stalli in superficie. Tutto improntato ai criteri di bioedilizia e risparmio energetico. Per ora, lì da dove uscivano gli ascensori vanto del ‘made in Bologna’, l’unico spettacolo che è dato vedere sono le decine di persone che escono dai ruderi della fabbrica e, dopo essere salite a bordo di uno dei tanti autobus che passano sulla via Emilia, si sparpagliano per il centro e il resto della città a chiedere, nel migliore dei casi, l’elemosina.