FEDERICA ORLANDI
Cronaca

Ergastolo per Padovani. La conferma in appello E lui: "Vivo per Sandra"

Dichiarazioni choc in aula del calciatore: "Sono ossessionato da lei". Chiesti nuovi esami psichiatrici dalla difesa, ma la Corte dice no.

Ergastolo per Padovani. La conferma in appello  E lui: "Vivo per Sandra"

Giovanni Padovani, 28 anni, è stato condannato all’ergastolo anche in appello

"Ho il peso di aver tolto la vita a una donna che amo. Ma quando il raziocinio ti abbandona fai cose incredibili. Da quando ho conosciuto Alessandra sono passati quattro anni e sto ancora così. Alessandra mi dà la forza per andare avanti, vivo anche per lei, non solo per mia madre, altrimenti mi sarei ucciso".

Giovanni Padovani non si risparmia parole choc, che non potevano che indignare i parenti di Sandra, la sua vittima massacrata due anni fa. Fino alla fine l’imputato ha cercato di convincere la Corte d’assise d’appello di avere "sicuramente dei problemi psichiatrici, anche se qualcuno dice che non è così. Se non ho niente merito l’ergastolo. Ma io ho un’ossessione per Alessandra, la penso tutti i giorni, qualcosa non va". Si è anche messo a piangere e ha chiesto forse per la prima volta scusa "alla famiglia di Alessandra, ai suoi amici e alle istituzioni". Ma la Corte, presieduta da Domenico Stigliano, non si è commossa. E ha confermato l’ergastolo deciso in primo grado. Per l’omicidio pluriaggravato (da stalking, premeditazione e motivi abietti e futili) della ex compagna Alessandra Matteuzzi, 56 anni, che l’ex calciatore di 28 assassinò a martellate, calci, pugni e colpi di panchina tendendole un agguato sotto casa, in via dell’Arcoveggio.

In questo appello, l’avvocato difensore di Padovani, Gabriele Bordoni, ha chiesto che venissero acquisiti gli esiti della risonanza magnetica cerebrale fatta a Padovani lo scorso maggio da cui è emersa una cisti di 10 millimetri: "Bisogna approfondire per capire se all’epoca dei fatti era ’perfettamente a posto’ oppure no – chiarisce senza giri di parole –, vogliamo che si verifichino se questa condizione possa avere inciso alterandolo". L’istanza è stata respinta dalla Corte, dopo che tutte le altre parti – oltre all’avvocato generale Ciro Cascone e la sostituta pg Adele Starita, poi le parti civili con Stefania Matteuzzi, sorella della vittima con gli avvocati Antonio Petroncini e Chiara Rinaldi; i due nipoti con l’avvocato Riccardo Bucci; le quattro associazioni antiviolenza Sos Donna, Mondo donna, Casa delle Donne e Udi – si sono opposte, sostenendo come i periti del primo grado avessero già chiarito la capacità di intendere e volere dell’imputato al momento del delitto senza dubbio, escludendo anche la rilevanza di una risonanza magnetica per ottenere informazioni in tal senso. La Procura generale ha dunque chiesto la conferma della pena comminata in primo grado, accusando Padovani di "fare il matto a posteriori" per cercare di ottenere dei vantaggi nel processo. L’avvocato di parte civile Petroncini ha anche chiarito che "l’atteggiamento collaborativo di Padovani è solo apparenza: certo, ha confessato subito un delitto che consumato davanti a diversi testimoni, ma poi ha negato qualsiasi altra circostanza anche solo appena meno evidente, come la premeditazione o lo stalking ad Alessandra, che pure l’aveva denunciato un mese prima di morire".

La sentenza della Corte d’appello, dopo una camera di consiglio durata meno di un’ora, è stata accolta dalle lacrime della sorella Stefania: "È stata fatta giustizia, ringrazio questa Corte, è stato un giorno difficile. Padovani non ha avuto rispetto nemmeno oggi per mia sorella, perché non si possono dire quelle cose, che ‘vive due vite’, per sé e per lei. Mia sorella non c’è più. Io chiedo solo giustizia, come è stato fatto".