Ma stavolta si metterà a ballare? Neri Marcoré se la ride: "Lo avrei anche potuto fare, ma il ruolo non lo prevede. Alla mia età ho scoperto che sono addirittura portato". Anche senza giravolte e spaccate, lui ha comunque deciso di entrare per la prima volta nel magico mondo del musical, indossando nientemeno che i panni di Sherlock Holmes. All’iconico investigatore inglese è dedicato infatti il musical made in Italy scritto da Andrea Cecchi (che ne firma anche la regia), Alessio Fusi e Enrico Solito, stasera e domenica all’EuropAuditorium. È una produzione dai grandi numeri (22 artisti in scena, 15 tecnici al seguito, due bilici per trasportare le scenografie) e un’occasione per rileggere in modo diverso questa figura letteraria nata nel 1887 da Arthur Conan Doyle. Sherlock Holmes. Il musical non è tratto da un libro in particolare: si immagina che nella cupa Londra di fine ‘800 il flemmatico investigatore (impermeabile, pipa e orologio nel taschino da ordinanza) si scuota dall’apatia che lo ha gettato la morte dell’acerrimo nemico Moriarty per sventare una minaccia talmente grave da mettere in pericolo la regina. Riuscirà il nostro eroe dal 221b di Baker Street a sconfiggere, con il prezioso contributo del fido Watson, la perfida macchinazione? "Sono stato io – racconta – a proporre Paolo Giangrasso per il ruolo del dottore. Avevamo lavorato insieme nel film di Davide Ferrario Tutto qua, era l’interprete giusto". Marcoré, come mai ha deciso di debuttare nel musical? "È una proposta che mi ha intrigato e con la produzione ci siamo subito piaciuti. In realtà lo spettacolo aveva debuttato appena prima del covid per essere poi sospeso. Lo abbiamo ripreso adesso e l’accoglienza è festosa. Holmes è una sorta di supereroe, ha facoltà che esulano dall’ordinario e fa restare a bocca aperta. A me incuriosiscono le novità e il poter esplorare codici diversi". Com’è il suo Sherlock? "Un personaggio positivo con quelle contraddizioni che lo rendono umano e affascinante. Mi trovo bene nei suoi abiti forse grazie al mio atteggiamento flemmatico che mi porta a essere ironico nei confronti della vita. Ecco, credo di avergli dato un tocco di humour in più". Tanti divi, da Michael Caine a Robert Downey jr., si sono misurati con l’investigatore più famoso del mondo. Pensa a questi confronti? "Ci metto del mio. Credo di partire avvantaggiato per l’atteggiamento critico che mi porto addosso e che mi fa aderire senza fatica al ruolo. Non sono un lettore forte di gialli ma Conan Doyle lo conosco fin da ragazzo. Holmes è uno di quegli eroi della giustizia che frequenti comunque". Perché la gente ama i gialli? "Perché esiste un colpevole e quindi perché questa forma letteraria garantisce una schema che obbliga il lettore ad essere coinvolto. E’ un tipo di impalcatura semplice che non annoia e che garantisce in alcuni casi una qualità letteraria altissima". A quando il suo secondo film da regista, dopo ‘Zamora’? "Un’idea da mettere in cantiere ce l’ho ma serviranno un paio di anni per arrivare al ciak. Zamora mi ha dato grande soddisfazione: sono arrivati premi e complimenti da ogni parte. Per ora c’è solo teatro, nella seconda parte di stagione riprenderò La buona novella di De André". De André, Gaber... Come mai è così attento a questi autori? "Sono mondi nei quali mi va di stare, patrimoni complicati da esplorare in profondità. Sono artisti che appartengono al mio vissuto, perché spingono alla riflessione e all’abbandono dei pregiudizi".
CronacaElementare, Neri . Marcoré: "Ecco il mio Sherlock"