Il regista e attore Edoardo Leo arriva oggi alle 11 all’Aula Absidale di Santa Lucia con ’Non sono quello che sono’, il masterclass tour con cui incontra studenti degli atenei italiani in un dialogo sui temi che emergono dalla sua ultima opera cinematografica ’Non sono quello che sono’ da ’The Tragedy of Othello’ di William Shakespeare (in sala dal 14 novembre) , per un’analisi e rilettura cinematografica di un classico in chiave moderna, un nuovo approccio ad un bagaglio di valori fondato sul rispetto per la persona.
Edoardo Leo, oggi la comunicazione coi giovani funziona meglio per immagini: attraverso un film i messaggi arrivano più chiari e forti?
"Non credo sia importante parlare solo ai ragazzi. Penso che ognuno, attraverso il proprio lavoro, debba fare quello che è più giusto. Non ho nessuna pretesa di parlare ai ragazzi, nel senso che non devo consegnare nessun messaggio. Sicuramente ci sono dei film che attraverso la memoria emotiva che lasciano si imprimono nell’immaginario collettivo, ma anche culturale e personale di ognuno di noi. Quindi è più forte qualcosa che ti arriva in modo personale piuttosto che qualcosa che ti viene spiegato da altri. È certo però che il cinema, nel connubio tra parola, immagine e musica è un mezzo incredibile per lasciare tracce emotive".
Lei ha riletto l’Otello esattamente com’è stato scritto, con la sola forza del dialetto a riportarlo al presente. Anche in questo caso la mediazione è necessaria per comunicare meglio?
"Il mio è un lavoro che va nel solco di altri lavori che sono stati fatti, anche Eduardo ha tradotto La Tempesta di Shakespeare in napoletano. Nell’immersione nel contemporaneo, ad un certo punto ho sentito l’esigenza di riportare Shakespeare, attraverso il dialetto, a quella che era la sua dimensione più popolare, che è quella iniziale da cui partiva. E tutte le traduzioni che ho letto, alcune poetiche e meravigliose, necessitavano di qualche strumento in più per essere decifrate. In un’ottica contemporanea ho provato a fare questa immersione dialettale che è una ricchezza assoluta, il dialetto consente di conservare certe immagini e metafore, modi di dire, ragionamenti, conservando poesia e violenza di quelle immagini".
Ci sono delle difficoltà oggi, a connettersi con la storia per capire che certi ruoli esistono da sempre, così da poterne uscire?
"Noi chiamiamo classici le opere che riescono a rileggere il contemporaneo, in questo l’Otello è micidiale e racconta con una precisione quasi chirurgica il meccanismo che porta un essere umano apparentemente sano e innamorato, a trascinarsi nel vortice della gelosia tossica che gli fa perdere completamente la lucidità. C’è una domanda che dobbiamo farci: come è possibile che un testo scritto nel 1604 rilegga ancora adesso tutti i ragionamenti che stiamo facendo sul patriarcato e il maschilismo? Vuol dire che che in 400 anni, in quel tipo di dinamica del maschile sul femminile, non è cambiato niente".
Cosa vorrebbe che le chiedessero per accendere un dialogo, una comprensione?
"Niente in particolare. Mi lascio andare al flusso di quello che è successo in queste aule in cui le ragazze ci hanno confessato di essere state molestate o di stare in una relazione in cui avvertono il pericolo... Non diamo confini definiti e rispettiamo le richieste e le esigenze dei ragazzi rispetto alle clip del film che vedono".