Tempera
C’è un momento in cui si rompe qualcosa. Il momento in cui va stabilito da che parte stare. Nella vicenda delle scuole Besta, tramutatasi nell’occupazione da parte degli anarchici del parco Don Bosco, questa rottura è avvenuta venerdì. Quando a sfilare, tra le vie del quartiere a ridosso della Regione, non sono stati comuni cittadini, preoccupati per l’avvenire degli alberi, degli uccellini e per lo smog. C’erano solo anarchici, molti col volto coperto da passamontagna. E qualche rappresentanza antagonista. Erano partiti dopo un’assemblea e fino alle 21 la passeggiata era stata ‘tranquilla’. Sembrava stessero per rientrare al campo base, tra le casette sull’albero. E invece sono ripartiti in marcia. Questa volta lanciando petardi e fumogeni contro i poliziotti della Digos. Imbrattando i muri con scritte e minacce, come quella rivolta all’assessore Simone Borsari ("Muori male"), vandalizzando la sede del circolo Pd Orsini, danneggiando il cantiere e i mezzi dell’azienda che sta cercando di portare avanti i lavori per il tram in viale Aldo Moro. E pure tagliando le gomme delle auto di comuni cittadini, parcheggiate sotto casa. Cittadini colpevoli, probabilmente, di possedere un mezzo di trasporto che non sia una bicicletta.
Questa è la fazione a cui una parte dei bolognesi ha scelto di demandare, senza se e senza ma, la propria causa. Una situazione evidentemente sfuggita di mano, se venerdì sera, dopo il raid vandalico, sotto e sopra gli alberi che costeggiano le scuole Besta, sono rimasti un centinaio di anarchici a campeggiare. Molti non sono neanche appartenenti al gruppo bolognese, ma arrivati da fuori, per sostenere questa lotta. Lotta che non è motivata dalla volontà di salvare gli alberi e il parco, casus belli strumentale e occasionale, ma chiaramente tesa ad altri obiettivi, cari al movimento: creare caos sociale, sfogare tensioni e violenze contro le forze dell’ordine e le istituzioni, impossessarsi di aree che dovrebbero essere di pubblica fruizione e farle proprie.
Il parco Don Bosco già da ben prima di giovedì, quando in sessanta, con pietre e bastoni, hanno aggredito poliziotti e carabinieri in servizio d’ordine a tutela degli operai, non è più dei cittadini che vivono intorno a quel fazzoletto di alberi che resistono all’ombra delle torri della Regione. È appannaggio esclusivo di alcuni, amici e graditi. Chi non rientra in queste categorie, come per esempio i giornalisti arrivati giovedì a testimoniare gli scontri, viene insultato e cacciato. In un crescendo di tensioni che non accennano a smorzarsi. E questa situazione rischia di portare conseguenze anche ai cittadini - quelli ancora senza precedenti per reati di piazza - del comitato Besta. Che invece di prendere le distanze dalle violenze, sulla loro pagina Facebook gettano benzina sul fuoco di una contestazione già incandescente: "Questi amministratori da Lepore in giù – è il post – devono essere portati in piazza con forza dalla gente che vuole avere risposte sulle porcherie che stanno facendo a questa città". Neanche un accenno, nel lungo comunicato diffuso ieri, alla violenza messa in atto dal loro ‘braccio armato’, con le minacce di morte contro Borsari definite un "trucco".
La Questura sta monitorando giorno per giorno l’evolversi di questo contesto. La Digos ha già riconosciuto, in venti tra gli autori delle violenze di giovedì, anarchici noti dell’ambiente bolognese. Ma anche chi li fiancheggiava, li aizzava senza fisicamente mettersi in mezzo, può incorrere in responsabilità penali. La polizia sta lavorando all’analisi di video e foto scattati giovedì e venerdì sera. E sta acquisendo anche le immagini riprese dalla videosorveglianza pubblica per individuare gli autori di aggressioni e vandalismi. L’altra sera, per evitare di essere riconosciuti mentre imbrattavano mezzo quartiere, gli anarchici indossavano passamontagna. Non una novità, visto che anche gli ‘abitanti degli alberi’ non ne fanno mai a meno. E poi si sono nascosti dietro la nebbia dei fumogeni, lanciando petardi contro gli agenti per non farli avvicinare. Sono state tante, in quei momenti, le chiamate arrivate ai centralini delle forze dell’ordine da parte di residenti preoccupati dal frastuono, che volevano capire cosa stesse accadendo. La risposta è nello stato del parco sotto le loro finestre. Da giardino di una scuola a campo di battaglia. Che con l’ecologia e la salvaguardia degli alberi ormai non ha proprio più niente a che fare.