Bologna – Barba e capelli lunghi, canottiera nera a rivelare i tatuaggi sulle braccia. Sguardo fisso davanti a sé, immobile nella stessa posizione per tutto il tempo dell’udienza. Così Giovanni Padovani si è presentato ieri per la prima volta in aula al ’suo’ processo.
Ora che è stato certificato dai periti nominati dalla Corte d’assise che è in grado di farlo. E per la prima volta da quando ha assassinato a martellate, calci, pugni e colpi di panchina la ex fidanzata Alessandra Matteuzzi, di 56 anni, il 23 agosto dell’anno scorso, ha incontrato faccia a faccia la sorella di lei, Stefania.
Lei è entrata in aula quando l’imputato era già seduto al suo posto. Per qualche istante l’ha fissato, mentre le lacrime le riempivano gli occhi, poi ha distolto lo sguardo. Padovani non si è girato. Non ha alzato lo sguardo su di lei neppure quando la pm Lucia Russo ha iniziato a ricordare la dinamica del delitto e Stefania si è sentita male e si è accasciata piangendo, venendo perciò accompagnata fuori. Immobile e impassibile, effetto forse anche dei farmaci che gli sono somministrati nella struttura di Reggio Emilia in cui è detenuto.
Padovani è accusato di omicidio aggravato da premeditazione, stalking, futili motivi e legame affettivo con la vittima; ieri in aula era seduto tra il suo avvocato, Gabriele Bordoni, e la psicologa di parte Cinzia Gimelli, come concesso dalla Corte dopo la richiesta della difesa che riteneva che l’imputato fosse in condizioni psicologiche troppo precarie per assistere al processo senza un sostegno. Lì vicino c’era anche qualcun altro.
Sua madre Virginia è rimasta a un passo da lui per tutta l’udienza. Durante una pausa, col permesso dei poliziotti, lo ha raggiunto. Lo ha abbracciato. Gli ha sussurrato qualcosa accarezzandogli i capelli e il viso. Assassino, ma sempre figlio. Lui le ha risposto, con gli occhi rivolti a terra, poi si è richiuso nel suo atteggiamento distaccato, intorbidito.
Intanto, i periti nominati dalla Corte presieduta dal giudice Domenico Pasquariello, cioè lo psichiatra Pietro Pietrini e il neuropsicologo Giuseppe Sartori, ancora con l’ausilio della psicologa ed esperta di test psicometrici Cristina Scarpazza, hanno ricevuto il nuovo incarico per la seconda perizia sull’imputato, quella con cui dovranno stabilire se questi "all’epoca dei fatti, fosse affetto da patologie psichiche tali da inficiarne la capacità di intendere e di volere".
Se la risposta sarà positiva, dovranno stabilire anche se sia "socialmente pericoloso". Gli esperti avranno 90 giorni di tempo dal primo d’agosto. La richiesta della difesa di ampliare l’analisi anche sulle sue condizioni psichiche in generale, al di là di patologie, è stata respinta dalla Corte e accolta da un coro di dissenso della platea, richiamata per questo dal presidente Pasquariello.
"Riteniamo che la sintomatologia lamentata dall’imputato (che dice di sentire delle voci, ndr) non comprometta la sua capacità di stare in giudizio, a prescindere dalla sua genuinità – così i periti sul quesito cui dovevano rispondere in quest’udienza, cioè se Padovani fosse in grado di affrontare un processo –. La vivacità appositamente voluta nei due colloqui di tre ore l’uno in cui l’abbiamo valutato ne dimostra la capacità di seguire con attenzione e continuità quanto gli accade intorno".
Il consulente della Procura, Alessio Picello, alle domande della pm Francesca Rago ha risposto di non ritenere che "i passati problemi di salute di Padovani ne abbiano compromesso l’equilibrio psichico", ma, sebbene non rilevi patologie mentali, "la sua storia clinica evidenzia una personalità riconducibile a un disturbo di ’cluster B’ (cioè caratterizzato da comportamenti emotivamente eccessivi o drammatici, ndr) con preponderanti caratteristiche borderline".
Se lo vorrà, Padovani sarà esaminato dalla Corte alla prossima udienza, il 2 ottobre; in quell’occasione verrà con ogni probabilità chiamata a testimoniare anche sua madre, come richiesto dagli avvocati di parte civile Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini. Il 20 novembre toccherà poi ai periti presentare le conclusioni del proprio lavoro d’analisi.
"Non è in discussione la responsabilità del mio assistito nell’avere posto fine alla vita di Alessandra Matteuzzi, come da lui stesso dichiarato subito dopo i fatti – così l’avvocato Bordoni ai giudici –. Ora però bisogna approfondire le accuse delle aggravanti e valutare retroattivamente le sue condizioni al momento dei fatti contestati e subito prima". Attacca invece l’avvocato Rinaldi: "Anche questa perizia dimostrerà che Padovani sapeva perfettamente quel che faceva, quella sera, e anzi stava facendo ciò che voleva. Ora lui in aula è assistito da una psicologa: ma chi teneva la mano di Alessandra, mentre lui la massacrava?".