Bologna, 24 settembre 2024 – “Ci sono solo indizi contro Andrea Rossi, ma sono univoci e valgono più di una prova”. Così il pg Rinaldo Rosini aveva concluso la requisitoria contro il commercialista bolognese, oggi 61enne, condannato in via definitiva nel 2010 per l’omicidio della sua cliente Vitalina Balani, avvenuto il 14 luglio 2006.
Gli indizi, ritenuti schiaccianti dai giudici, si concretizzavano nei comportamenti tenuti da Rossi dopo il delitto, dall’assenza di un alibi e in un movente, pesantissimo: un debito da 2 milioni di euro con la vittima, con cui il giorno del delitto Rossi aveva appuntamento. Non solo: la sera dell’omicidio, Rossi cancellò dal suo pc i file relativi alla Balani e staccò dalla sua agenda la pagina del giorno dell’omicidio, poi trovata dalla squadra mobile nel suo dizionario, alla suggestiva voce ‘delitto’. Rossi, in carcere da 17 anni, oggi comparirà assistito dall’avvocato Gabriele Bordoni davanti alla corte d’appello di Perugia, dove è in corso la revisione del suo processo: si discuterà della perizia affidata dalla Corte al medico legale Mario Bacci. Una perizia che conclude posticipando di sei ore almeno l’orario della morte di Balani, stimato ora tra le 18 e la mezzanotte. Un orario per cui Rossi ha un alibi di ferro.
Andrea Rossi, la perizia disposta dalla corte d’appello di Perugia sposta in avanti l’orario dell’omicidio di Vitalina Balani. Diciassette anni dopo, la sua posizione processuale potrebbe mutare drasticamente. Quali sono le sue speranze e i suoi pensieri?
“Scrivo sapendo di non essere creduto, ma parlare di speranze non è corretto. Piuttosto avverto il convincimento che finalmente, dopo così troppo tempo, un giudice valuterà serenamente le emergenze di prova. Sul fatto di quale sia la verità relativamente alla mia posizione, cioè ch’io non c’entro nulla con la morte della signora Balani in Fabbiani, nulla posso dire se non quello che ho sempre detto e assicuro che aver la coscienza a posto è un bell’aiuto a sopportare qualsiasi situazione”.
Il perito della corte sostiene che Balani non fu uccisa alle 14, ma molte ore dopo. È plausibile che sia morta fra le 20 e le 21. Lei cosa stava facendo in quelle ore il 14 luglio 2006?
“Sarà la mia difesa a ricostruire tutto davanti alla corte. Comunque, in sintesi, dal pomeriggio e fino a oltre le 23 rimasi in studio, lo provano i tabulati delle telefonate, il verbale di un incidente accaduto al mio socio di allora e le analisi del mio computer, a cui lavorai fino a tardi. Non ci sono dubbi su questo, i riscontri sono insuperabili”.
I famosi file cancellati dal pc: una prova a suo carico diventerebbe ora un alibi. Ma perché cancellò i file relativi a Balani proprio quella sera, quando solo l’assassino sapeva che era morta?
“La polizia postale e un perito hanno ampiamente documentato come le cancellazioni siano avvenute ‘a macchia di leopardo’ e non deliberatamente per i file della signora Balani in Fabbiani. Non solo ’quei’ file, dunque. E neppure tutti ’quei’ file nella serata del 14. Ne sia riprova che fui accusato dagli inquirenti di averne cancellati anche il 27 luglio 2006”.
All’epoca del processo emersero tante prove a suo carico: l’alibi fallito dello scontrino, l’appuntamento con Balani proprio quel giorno ma ’dimenticato’, l’agenda strappata con le pagine sui debiti nascoste in un dizionario del suo studio alla voce ‘delitto’. E il movente: i due milioni di euro che doveva alla vittima.
"Quel giorno non vidi la signora, fui occupato in zona nel primo pomeriggio ma per un’altra vicenda legata a un contatore Enel. Quanto all’agenda strappata, io non ho mai strappato alcun foglio da nessuna delle agende che ho consegnato alla polizia. Infine, il debito di milioni. Non dovevo quella somma allora e ho già spiegato il perché all’epoca. Inoltre, come ha spiegato la mia difesa, avevo altre pendenze significative quindi eliminando una cliente non avrei risolto alcunché”.
Lei è padre di sei figli. L’ultima non era ancora nata, all’inizio del primo processo. Cosa s’immagina farebbe, se l’assolvessero?
“Quella vita non c’è più. Se le cose andranno come devono, ce ne sarà un nuovo spezzone, senz’altro molto differente perché molto cambiato sono io stesso, ma ancor più perché gli ’affetti’ che ancora ho la fortuna di avere hanno ora una vita propria nella quale non intendo inserirmi se non per quanto costoro riterranno di darmi accesso, ben felice di poter fare qualcosa per loro, non foss’altro per cercare di mettere qualche cerotto sulle ferite apertesi nel frattempo, non rimarginabili, ma conterei un pochino attenuabili. Ci vorrà tempo, tanto, che non so se avrò a disposizione, ma ci vorrà soprattutto tanta disponibilità di questi miei affetti. Di sicuro spero di non risultare ingombrante per nessuno, ché già lo sono stato anche troppo. Papà e mamma e altri affetti grandi ormai non ci sono più, ma con loro il discorso è più semplice perché il pensiero ci unisce da sempre e non potranno tenermi lontano quando passerò a salutarli dove riposano. Quel che sarà, sarà, ma sempre nel primario rispetto delle volontà di ciascuno dei miei affetti. Senza fretta, ché non ce n’è. Tutti coloro che amo lo sanno benissimo”.
Come ha affrontato la detenzione e come ha retto il peso della condanna?
“In modo molto semplice e non propriamente conveniente: rifiutando il carcere, pur rispettandolo come istituzione, anzi, rispettandolo unicamente come tale. La tristezza somma viene dalla constatazione dell’accidia che rende complicato e dispendiosissimo il sistema penitenziario. Si tiene botta. Quantomeno io sto tenendo botta, giusto perché continuo a vivere nell’utopia che prima o poi qualcuno in questo baratro ci guardi dentro per davvero. Ci arriverà, ne sono convinto. Sopra ogni altra cosa, però, la forza mi è venuta e viene da dentro, cioè dagli ’affetti’ che ho, appunto, sempre dentro di me e che non esiste carcere capace di allontanarmi. A loro devo dire grazie, dal cuore”.