Classe 1966, nato ad Ancona, Daniele Del Pozzo è il nuovo assessore alla Cultura di Bologna, nominato il 14 dicembre scorso, operativo da una settimana. E arrivato sotto le Due Torri per studiare al Dams indirizzo spettacolo, e dopo la laurea ha lavorato nella programmazione culturale del Link Project, di cui è stato tra i fondatore e al Cassero. Una formazione sul campo (alternativo) con quarant’anni di esperienza, e nel 2003 l’idea coraggiosa di Gender Bender, quando corpo, genere e identità erano sottocultura.
Daniele Del Pozzo, come sta lavorando alla politica culturale di Bologna?
"Esco da un ambito che è quello della curatela artistica e culturale indipendente che mi ha permesso di conoscere la città e le dinamiche di chi vi opera in maniera molto prossima, un ottimo modo per poi assumermi il compito di assessore alla cultura. Il mio è un cambio di passo perché ho deciso di non fare più il curatore o il direttore artistico, ci tengo a precisarlo. Come figura politica ora il mio ruolo è quello di creare le condizioni perché chi opera nella cultura in città lo possa fare al meglio. In città c’è una ricchezza fortissima, ne riconosco il valore di bene pubblico e posso dire che in questa amministrazione c’è proprio l’idea che la cultura sia un bene pubblico e che come tale venga sostenuta".
La cultura sostenuta dal pubblico: c’è in città una tendenza a lamentarsi perché non si ricevono soldi per fare cose. Come affronterà questo tema?
"È un tema che chiamerei di sfida, ma la sfida vale se c’è una posta in gioco. Una cosa che mi ha sempre animato e che ora mi porto dietro da assessore, è una sorta di idea di ’attivismo culturale’. Negli anni, quello che ho trovato fondamentale prima ancora delle risorse, sono state la forza delle relazioni. Lo dico perché le alleanze, le relazioni con partner, collaboratori, artisti, artiste, ma anche con le stesse amministrazioni, hanno portato a volte soluzioni ingegnose e fortemente creative, intelligenti, che hanno permesso di trasformare criticità in possibilità. È vero che i soldi fanno la differenza, ma davvero, quanto valore viene creato da forme di collaborazione tra soggetti?".
Che criticità vede nella scena culturale?
"Io parlerei di possibilità. Mi piace ragionare su come sia possibile trasformare un limite in una possibilità, perché richiede un grande esercizio di creatività e la cultura è questo. Il mondo cambia attorno a noi e noi dobbiamo trovare il modo di restare sintonizzati con la realtà. Nello specifico vorrei parlare delle esperienze che hanno visto Teatro Comunale e Teatro Testoni migrare verso altri luoghi temporanei dove nessuno avrebbe mai immaginato di vedere le loro presenze: quel cambio ha creato una possibilità, l’immaginare funzioni d’uso diverse di edifici o che alcune azioni culturali sono potute avvenire in luoghi che non avevamo considerato fattibili".
A Bologna ci sono tante iniziative, pare una città dove sono tutti direttori artistici e curatori. Come valuterà i progetti e i sostegni relativi?
"Se c’è così tanta proposta e offerta è un segnale di ricchezza culturale, cosa che a volte si dà per scontato. Partirei dalla ricchezza e tornerei su un tema a me caro, quello di professionisti e professioniste della cultura, persone che hanno deciso che si tratta del loro mestiere ed è lì che sviluppano competenze e saperi che poi mettono a servizio di una collettività. Valuto molto bene la ricchezza culturale e riconosco il contributo dei professionisti. L’amministrazione lavora con una prospettiva temporale lunga, ci immaginiamo scenari che avverranno tra alcuni anni, operiamo oggi perché quella cosa si realizzi tra alcuni anni. Quell’asse temporale è concordante, immagino che i professionisti della cultura lavorino con lo stesso respiro lungo".
Da sempre in città si dibatte sui grandi eventi che possano richiamare pubblico e nutrire il turismo culturale. Lei che ne pensa?
"Io parto dal presupposto che ho una delega alla cultura, vorrei sottolineare questa cosa, è una scelta politica".