"Ecco, seduto qui davanti a me col magnetofono sulle ginocchia e il sorriso buono e perdonante di un vero amico, c’è Dario Zanelli...". Così scriveva Federico Fellini nell’introduzione di Nel mondo di Federico, uno dei volumi che Dario Zanelli gli aveva dedicato.
Zanelli, bolognese doc, un giornalista di razza, uno dei pochi che poteva vantare – ma è sbagliato, lui non si vantava mai di niente, viveva e lavorava understatement, giocava di sottrazione e mai di esagerazione – un’amicizia con Fellini. Da ribadire più che mai oggi, che nel centenario tutti si sono scoperti amici intimi del genio di Rimini.
Esattamente vent’anni fa, Dario Zanelli lasciava il mondo del reale per intraprendere il viaggio definitivo nel mondo dell’inconoscibile.
Critico cinematografico del Carlino (di cui è stato, nel tempo, anche vicedirettore, inviato, corrispondente da Parigi) ha raccontato i festival, le mode, i personaggi del cinema attraverso una prosa intrisa di poesia, una grammatica nobile come nobile era lui: giornalista-scrittore di razza, di quelli da ricordare e rimpiangere in un tempo, quello dell’oggi, dove si preferisce strillare e dove la mediocrità del pensiero e dell’eloquio pare abbiano vinto la partita.
A Fellini, Zanelli ha dedicato altri libri: su tutti Fellini Satyricon della premiata e indimenticata collana Cappelli ’Dal soggetto al film’.
Enzo Biagi, Lamberto Sechi, Sergio Telmon... amici-colleghi degli inizi, nel dopoguerra, generazione favolosa di intellettuali partoriti o adottati da questa città. In Cineteca c’è il Fondo Zanelli donato dai tre figli che racchiude libri, articoli, fotografie. In Impiegati di Pupi Avati fece un cameo come direttore di banca; forse per sperimentare la longitudine dello stare ’di fronte’ alla macchina da presa. Un signore del giornalismo che aveva capito come l’arte fosse molto più interessante della vita.
a. m.© RIPRODUZIONE RISERVATA