FRANCESCO MORONI
Cronaca

Dai ‘gabbioni’ al crollo. In mezzo due guerre e un impero industriale. Ecco cosa ne resta oggi

La fortuna del gruppo Maccaferri affonda le proprie radici a fine ‘800. Le realtà principali sono state acquisite da fondi, aziende e cordate. Ci furono scioperi e proteste. Ora ricollocati oltre 600 dipendenti.

La manifestazione degli operai della Samp nell’estate 2019 in piazza del Nettuno

La manifestazione degli operai della Samp nell’estate 2019 in piazza del Nettuno

Un impero nato per contrastare la potenza straripante dei fiumi, contenendo frane e smottamenti. Ci sono la forza della natura e l’ingegno dell’uomo, dietro alla fortuna del Gruppo Maccaferri. Fin da quel 1869, quando Raffaele – che aveva raccolto l’eredità di una lunga dinastia di fabbri – decise di trasferire la sua fucina a Lavino, per sfuggire alle continue piene del Reno. Pochi anni dopo, nel 1879, nacque la ‘Ditta Raffaele Officina da Fabbro’ (poi trasferitasi a Zola Predosa), insieme con i famosi ‘gabbioni’: reti metalliche riempite di ciottoli, utilizzate per ripristinare gli argini dopo le inondazioni.

È da Zola che l’impero, si espande sotto la spinta illuminata di Gaetano, nipote di Raffaele: nel ‘36 nasce Samp, mentre negli stessi anni vengono acquisite realtà dinamiche come Hatù, Sadam e Cesab, prima della nascita nel 1949 della holding Seci.

A Gaetano Maccaferri succedono i figli Guglielmo e Angelo: il primo impegnato nello sviluppo delle Officine, il secondo su altre attività. È negli anni ‘90 che il gruppo punta sulla diversificazione: Eridania si fonde con Sadam, mentre l’energia sembra il nuovo terreno di conquiste. Sarà l’inizio della fine, invece.

Il settore saccarifero e quello dell’energia cominciano a scricchiolare, mentre alcune realtà del gruppo brancolano in situazioni intricate: dagli investimenti in Brasile di Exergy per costruire il parco eolico più grande del Sud America alla crisi che le operazioni legate all’idroelettrico di Seci Energia trovano in Serbia, con il contemporaneo crollo del prezzo del petrolio.

Stando all’indagine della Finanza partita nel 2020, per capire come il colosso abbia cominciato a sgretolarsi bisogna tornare indietro al 2014, quando il gruppo contabilizza una perdita di 10 milioni, ricorrendo – attraverso la controllata Officine – a un prestito obbligazionario da 200 milioni. Un bond classificato "ad alto rischio". Nel 2017, poi, le Fiamme Gialle si concentrano sulle operazioni che hanno portato a una distrazione di 57 milioni, attraverso la scissione da Seci a favore di Sei.

La crisi emerge con forza a maggio 2019, quando Seci e altre otto società presentano richiesta di concordato in tribunale: il gruppo ha accumulato circa 750 milioni di debiti. Tremano oltre 500 dipendenti, con un’estate ‘infernale’ e scioperi in piazza. L’obiettivo del gruppo diventa puntare sui core business, Officine e Samp, disimpegnandosi dagli altri settori e manentendo solo Sigaro Toscano.

Nel 2021 viene dichiarato il fallimento di Seci (per cui poi verrà chiesto un conto di 322 milioni), mentre Samp viene acquistata da altre realtà e Officine passano in mano alla cordata capitanata dal fondo Carlyle (con un aumento di capitale da 60 milioni). Alla fine saranno quasi 600 i lavoratori ricollocati, tra cui 100 di Seci e 350 di Samp. È quest’ultima a vivere un periodo di rinnovata fiducia, che ha portato a febbraio all’acquisto da parte di Ambienta Sgr. Il tutto mentre, a giugno, il gruppo ha festeggiato i 130 anni dalla nascita del famoso ‘gabbione’. In mezzo avventure imprenditoriali, boom economici, crac, due guerre mondiali, e una famiglia che, a Bologna, ha sempre fatto rima con fortuna. Tanto che, negli anni ‘50 e ‘60, a chi aveva qualche lira in più era facile venisse detto: "Ma chi sei, Maccaferri?".