È ancora in corso la seconda guerra mondiale quando Arturo Martini, uno dei maggiori artisti che abbia avuto l’Italia nel Novecento, scrive il suo dolente e in parte autobiografico "addio alla scultura", il breve libro che raccoglie anche il frutto di meditazioni precedenti: Scultura lingua morta. Scritto a cui l’artista confida il suo dubbio sulla stessa funzione dell’arte che ha scelto, rispetto alla pittura, all’architettura, alla musica: "quindi tutta la scultura moderna non è stata che un fiasco o un fallimento,
tanto è vero che non ha sentito il bisogno né d’indipendenza né di partecipare al proprio tempo…". La necessità di "esaltare un soggetto e di vedere in questo il suo unico compito" riduceva la scultura a una servitù narrativa che Martini disconosceva.
Invece sono proprio gli anni in cui, come dopo le guerre d’ indipendenza, come dopo la prima guerra mondiale, in tutta Italia e in tutta Europa, la scultura si appresta a tornare alla sua funzione primigenia, il "vincolo" che diceva Martini.
Il libro che la storica dell’arte Milena Naldi e il fotografo Mauro Zanini dedicano all’Arte pubblica a Bologna – Sculture dal dopoguerra a oggi – sembra porre una risposta inevitabile ai dubbi di Martini (Pendragon, pp.238, 25 E). "Lo spazio pubblico" scrive la Naldi, "è sempre lo specchio della città, dei suoi abitanti e dei suoi governi". Finita la guerra, i temi storici sono impellenti: da Farpi Vignoli che, sulla facciata della Caserma Manara di via dei Bersaglieri, lascia un bassorilievo per ricordare i bersaglieri caduti in Russia, a Piero Bottoni, col Monumento-Ossario ai partigiani (cimitero monumentale della Certosa) che unisce il dramma reale al sogno del riscatto, "andando sotto terra con i morti", come disse l’artista sull’ispirazione che gli aveva suggerito il lavoro.
Gli artisti, nati nel primo novecento come negli anni Ottanta, segnano tutte le vie della scultura tradizionale: così le fontane, dalle tecniche miste di Cherchi e Ragusa (Ospedale Maggiore), alla stupenda estensione del Quinto Ghermandi del Sant’Orsola, in cui natura e scultura, foglie, ninfee, conchiglie si fondono in un unicum che non distingue tra realtà e artificio; così i volti, dal Salvo D’Acquisto di Luigi E. Mattei, al Padre Pio di Salvatore Amelio; alle libere espressioni delle forme, come la complessa Genesi di Alcide Fontanesi, alla raggera bronzea, rotante nel cielo (Senza titolo), di Giuseppe Maraniello nel Giardino del Cavaticcio.
Prolifico e poliedrico, uomo di eccezionale statura e cultura, Nicola Zamboni esperisce tutte le tecniche e tutti i soggetti, la vita semplice di Ricordi di scuola, il volto di Padre Marella, il Fiume Reno, la Porta del Reno, il Giardino medievale. Esordisce poi con Sara Bolzani, sua allieva e compagna di vita, dando forma a sogni sospesi, rami che sembrano capaci di volare, come in Culture in viaggio, o all’affollata vitalità delle figure di lavoratori che, alte sui ponteggi, popolano il monumento alla Cna, nella rotonda dedicata al suo fondatore.
Beatrice Buscaroli