Bologna, 25 febbraio 2023 – Un enorme passo avanti per la cura del tumore. È stato sviluppato un rivelatore di protoni flessibile ed economico importantissimo nella protonterapia, ossia la terapia a base di protoni.
Il rivelatore è il frutto di una ricerca condotte nell’ambito del progetto Fire dedicato allo sviluppo di rivelatori innovativi a supporto delle terapie radioterapiche finanziato dall'Istituto nazionale di fisica nucleare, che ha visto la collaborazione, tra gli altri, dell’Università di Bologna.
Che cos’è la protonterapia
La protonterapia è un trattamento radiante oncologico usato per curare alcune tipologie di tumore. A differenza della radioterapia convenzionale, che si basa su fotoni, la terapia con fasci di protoni si distingue per la capacità di concentrare la maggior parte dell'energia distruttiva su una piccola area del tumore.
Grazie a questa capacità, dovuta alla caratteristica fisica denominata picco di Bragg, la protonterapia riduce gli effetti avversi sui tessuti sani adiacenti al tumore. In caso di tumori al retto o alla prostata la radioterapia con fasci di fotoni o di particelle cariche di alta energia viene comunemente utilizzata in combinazione con la chemioterapia, prima e a volte anche dopo l'intervento chirurgico, con grande efficacia.
In particolare, nel caso della protonterapia, un fascio di protoni viene indirizzato sul tumore con lo scopo di danneggiare il Dna delle cellule tumorali impedendone la replicazione.
Il nuovo dosimetro
Un aspetto cruciale di questa terapia è dunque il controllo della dose della radiazione utilizzata, che deve essere sufficiente a distruggere le cellule tumorali, ma non così elevata da danneggiare i tessuti sani vicini alla regione trattata.
È perciò di fondamentale importanza che il nuovo dosimetro – che potrebbe essere usato per monitorare la quantità di protoni somministrata al paziente in tempo reale – abbia superato i primi test. Il lavoro svolto dai ricercatori ha testato il nuovo rivelatore su fantoccio al laboratorio Labec dell'Istituto nazionale di fisica nucleare a Firenze.
"Il dispositivo è stato realizzato utilizzando materiali completamente organici, cioè per lo più a base di carbonio, idrogeno e ossigeno – spiega Paolo Branchini, ricercatore all’Istituto nazionale di fisica nucleare -. Come substrato si è usato un polimero elastomerico: in questo modo si è ottenuto un dispositivo flessibile, poco costoso e facile da realizzare”.
Risultati sorprendenti
Come spiega Alberto Quaranta, presidente della Commissione 5 dell'Infn, docente dell'Università di Trento e ricercatore dell'Istituto di Fisica Fondamentale e Applicazioni di Trento (Tifpa): "Nel caso di FIRE, i rivelatori realizzati non solo presentano maggiori sensibilità e resistenza alla radiazione rispetto ai dispositivi convenzionali ma, cosa più importante, permettono l'analisi in tempo reale della dose rilasciata dalle radiazioni”.
"Questa ultima caratteristica costituisce un passo avanti di enorme importanza rispetto ai sistemi attualmente utilizzati nel controllo delle terapie cliniche. Dispositivi di questo tipo potranno diventare molto presto uno strumento prezioso di supporto per la definizione dei piani terapeutici e per la sicurezza e la radioprotezione dei pazienti oncologici".
Se anche futuri trial clinici condotti su pazienti dovessero dare esito positivo, - informa il gruppo di ricerca - il dosimetro, realizzato interamente con materiale organico, consentirà di misurare in tempo reale la quantità di radiazioni rilasciata sulle cellule tumorali dai fasci di protoni impiegati in radioterapia, massimizzando l'effetto e riducendo effetti indesiderati delle terapie.
Grazie alle sue dimensioni ridotte e alla sua flessibilità, che ne rendono estremamente semplice l'applicazione su ogni parte del corpo, il rivelatore di protoni Fire potrà essere utilizzato in ambiti diversi, che si estendono dalla dosimetria medica fino alle applicazioni spaziali.
La ricerca
I risultati della sperimentazione sono stati pubblicati sulla rivista Nature, all'interno della serie ‘Npj Flexible Electronics’.
"Nel lavoro pubblicato - spiega Beatrice Fraboni, ricercatrice Infn e docente dell'Università di Bologna, responsabile nazionale del progetto Fire - ci siamo concentrati sul monitoraggio in tempo reale delle dosi di radiazione incidenti durante le sessioni di protonterapia su tessuti malati e sui tessuti sani limitrofi”.
“Dati che – conclude Fraboni - risultano cruciali per la corretta calibrazione del trattamento terapeutico e per preservare la funzionalità di organi limitrofi al tumore, basti pensare ai casi di trattamento tramite protoni del tumore alla prostata, in cui organi limitrofi come il retto possono risultare seriamente danneggiati”.
Il progetto Fire
Finanziato dalla Commissione Scientifica Nazionale 5 dell'Infn, che si occupa di ricerca tecnologica per favorire gli sviluppi applicativi delle tecnologie nate dalla ricerca fondamentale in fisica delle particelle, il progetto Fire si concentra sullo sviluppo di una nuova generazione di dispositivi elettronici a base di materiali organici e flessibili per la rivelazione di radiazione ionizzante.
Chi ha partecipato
Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), dell'Istituto per la microelettronica e i microsistemi (Imm) e dell'Istituto superconduttori materiali innovativi e dispositivi (Spin) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), e delle Università di Bologna, Federico II di Napoli, Roma Tre, Padova e Trento.