
L’attrice domani fra i protagonisti delle tre pièce di Checov con la regia di Stein: "La complessità dell’animo umano descritta con amore"
Sono tutti affetti da crisi di nervi e attacchi isterici, si ammalano o finiscono per litigare. C’è una vedova che per non pagare certe cambiali si avventura in una discussione che ben presto degenera, un fumatore che tiene una conferenza sui danni del tabacco finendo per strapparsi l’abito di dosso, un futuro sposo che cade svenuto per una crisi di ipocondria provocando un attacco isterico nella fidanzata. Stiamo forse parlando di storie dei nostri giorni? Beh, non proprio. Questi guai succedono ai protagonisti dei tre atti unici che Anton Cechov scrisse tra il 1884 e il 1891 ispirandosi alla commedia francese e al vaudeville. Tre piccoli gioielli realizzati in gioventù che sono stati terreno fertile per l’esperienza e la preparazione delle più celebri opere della maturità. Sarcasmo, comicità paradossale, stravagante assurdità, folle crudeltà. Peter Stein, uno dei grandi maestri del teatro europeo, ha realizzato in passato lodati allestimenti del drammaturgo russo. E adesso ha deciso di tornare a uno dei suoi autori di riferimento raccogliendo in un’unica serata, appunto sotto il titolo Crisi di nervi, tre brevi pièce: L’orso (interpretato da Maddalena Crippa, Sergio Basile e Alessandro Sampaoli), I danni del tabacco con Gianluigi Fogacci e La domanda di matrimonio (Alessandro Avarone, Sergio Basile e Emilia Scatigno). Sono in scena da domani a domenica all’Arena del Sole. "Si ride dall’inizio alla fine – racconta Maddalena Crippa – e il pubblico resta incantato dal gioco di noi attori".
Stein ha detto che Cechov vedeva oltre il suo tempo: sta qui la ragione di questo spettacolo? "La verità è che Cechov possiede una forte capacità di penetrare la vita e che i suoi testi hanno grande profondità. Dunque, è un peccato spingere semplicemente sul registro grottesco o drammatico. Abbiamo mantenuto l’ambientazione ottocentesca proprio per creare un riverbero sul nostro tempo attraversato dalla rabbia. La regia ha voluto ha voluto una rappresentazione rigorosa ambientata in uno spazio scenico di assoluta semplicità dove gli attori, senza l’uso di alcun microfono, lasciano parlare l’autore. Solo così emerge la sua capacità di descrivere la complessità dell’animo umano con amore".
Lo spettacolo nasce da un gruppo di artisti che ha scelto di condividere progetti precisi ed è nato in quella sorta di factory teatrale che è San Pancrazio. Quanto è importante l’idea di comunità? "Il teatro è comunità. La compagnia, dopo Il compleanno di Pinter, ha deciso di condividere un progetto ben preciso. La stima reciproca, la gioia di lavorare insieme e la voglia di un gioco di squadra hanno prodotto questa perla che riprenderemo, per la terza volta, nella prossima stagione. È un bel congegno che prevede una reazione a ogni azione e che diverte il pubblico per un’ora e 40 minuti".
Quale visione porta in un allestimento un regista dal respiro internazionale? "Offre una linea ben precisa: non c’è un protagonista ma servono maestria e capacità, bisogna saper abitare lo spazio e non temere la giusta messa in scena. Io da lui, che è tedesco, ho imparato a leggere Dante e Ariosto. Oggi troppi teatranti usano titoli famosi dei classici per massacrarli. Il ‘famolo strano’ alla lunga comunque non paga".