FEDERICA ORLANDI
Cronaca

Crac di Bio-On, cosa c’è dietro. “Mercato manipolato, i vertici sapevano tutto”

Le motivazioni delle condanne di Astorri, Cicognani e altri 6 manager: “Furono messe a bilancio entrate future e incerte per ottenere crediti”. Nonostante un debito di 60 milioni, il prezzo delle azioni andò alle stelle. La difesa: “Non è stata messa in dubbio la qualità tecnologia dell’azienda”

Marco Astorri, patron di Bio-On, condannato a cinque anni e due mesi

Marco Astorri, patron di Bio-On, condannato a cinque anni e due mesi

Bologna, 21 febbraio 2025 – Gli amministratori di Bio-On “erano ben consapevoli che i ricavi derivanti dai contratti di concessione delle licenze impianti erano stati falsamente rilevati in bilancio”.

Ed erano pure “consapevoli che la realizzazione dei rispettivi crediti era incerta”, perché “riconosciuti dalla controparte solo all’esito del futuro adempimento di obbligazioni di fare da parte di Bio-On, a loro volta dipendenti da condizioni future e incerte”.

Eccole, per i giudici di Bologna – presidente Domenico Pasquariello, estensore della sentenza Valeria Bolici –, le motivazioni delle condanne al processo per il crac di Bio-On, l’ex unicorno delle bioplastiche che arrivò a superare il miliardo in Borsa e poi, nel 2019, crollò quasi dalla sera alla mattina dopo il report online del fondo speculativo statunitense Quintessential, che lo definì “nuova Parmalat a Bologna”, accendendo sull’azienda anche i fari della Procura.

Tra i nove imputati, anche l’ex presidente e fondatore dell’azienda che prometteva di risolvere il problema dell’inquinamento da microplastiche, Marco Astorri, condannato a cinque anni e due mesi, insieme con il suo vice Guido Cicognani, per manipolazione del mercato, bancarotta impropria e false comunicazioni sociali. Con loro, sono state condannate altre sei persone (una è stata assolta), ossia l’ex direttore generale Vincenzo Folla, l’ex consigliere Gianni Lorenzoni e membri del collegio sindacale. Tutti con pene dai 4 anni e 4 mesi a tre anni e mezzo.

Per i giudici, i bilanci erano fasulli perché rilevavano corrispettivi legati a servizi che in realtà Bio-On non aveva ancora prestato ai suoi clienti, da quelli relativi alle ’licenze impianti’ (in cui il prodotto era un pacchetto di prestazioni da parte di Bio-On per assistere il cliente nelle fasi di costruzione di un impianto di produzione del polimero Pha e del know how necessario a farlo) e alle ’licenze applicazioni’, ossia contratti in cui Bio-On vendeva la propria ’tecnologia’ di volta in volta specificata legata alle bioplastiche in questione.

Ecco allora che i ricavi falsamente iscritti nei bilanci avevano un “duplice effetto”: quello di incidere “significativamente sul prezzo del titolo delle azioni” (che nel 2018 arrivò a toccare i 70 euro) “e dei warrants, con risultati utili per la società e profitto per i soci-amministratori”, e quello di “alterare le valutazioni dei finanziatori sul merito creditizio della società, consentendo a Bio-On di finanziarsi con un massiccio ricorso all’indebitamento nei confronti di istituti di credito e fornitori”. Debiti accumulati per 60 milioni di euro.

“Come ci aspettavamo, è una sentenza ampia e complessa, che andrà attentamente studiata e non si presta a letture semplicistiche – così il difensore di Marco Astorri, il professor Tommaso Guerini –. Emerge però chiaramente che non è la qualità tecnologica di Bio-On la ragione di condanna: è evidente che il tribunale ha considerato esistente la tecnologia e che oggetto di contestazione è esclusivamente il criterio di contabilizzazione in bilancio dei ricavi dal trasferimento a terzi (mediante licenza) della tecnologia stessa. È questione estremamente tecnica e le valutazioni del tribunale, invero diverse dal parere di tutti i consulenti tecnici sentiti nel processo, saranno nuovamente discusse in appello. La storia non è finita”.