Bologna, 9 dicembre 2021 - Due giorni di passione nell’area dell’emergenza-urgenza del Sant’Orsola, tra le più importanti del nostro Paese, con un picco di venti pazienti rimasti a lungo in attesa di un letto per il ricovero, seguiti da un tenue spiraglio di luce. Sono le conseguenze dell’aumento dei ricoveri dovuti al Covid e anche al costante afflusso di pazienti con altre malattie: una caratteristica inedita, emersa in questa quarta ondata, mentre in precedenza gli accessi erano soprattutto dovuti al virus.
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Quanti pazienti attendono di essere ricoverati in Pronto soccorso? "Una decina – risponde dalla prima linea Fabrizio Giostr a , direttore della Medicina d’urgenza e del Pronto soccorso del Policlinico – perché stiamo cominciando a smaltire gli arrivi di martedì, ma non è una situazione che si risolve subito quando si crea un accumulo di pazienti. La direzione sanitaria ci sta cercando i letti per i pazienti non Covid da collocare almeno per la notte. I due focolai con 26 positivi scoppiati nei reparti nei giorni scorsi hanno rallentato le operazioni".
Dove sono sistemate le persone in attesa? "Nell’area dell’osservazione temporanea, che ciclicamente si riempie. Purtroppo, i pazienti restano su una barella, sicuramente comoda e separata da una tenda, ma non è certo la stessa privacy di chi ha una camera. Comunque, è una condizione che non si protrae mai oltre le 24 ore. Comunque, capisco che non è poco per chi aspetta".
C’è tensione? "L’utenza è stata molto comprensiva, salvo rarissimi casi, perché percepisce che facciamo uno sforzo che va quasi oltre le nostre possibilità. Stiamo gettando il cuore al di là dell’ostacolo, rappresentiamo il Mose del Policlinico, perché riusciamo ad alzare la barriera, evitando che l’onda travolga tutto. Lo so bene che il sacrificio lo fa chi attende, sia malati sia familiari, ma lo facciamo anche noi, con tanta abnegazione".
Quali sono le ripercussioni sul lavoro, quando gli spazi sono così affollati? "Non solo aumenta il carico di lavoro, ma soprattutto si aggiungono anche attività non previste, come lavare i pazienti, se c’è bisogno, e pensare alla loro alimentazione: una condizione a cui non siamo abituati qui a Bologna, ma il Pronto soccorso vive di queste fasi. Il cluster si è abbattuto pesantemente sulla nostra organizzazione. Una collega poco fa è venuta a rafforzare il turno di mattina in un giorno festivo, ringrazio lei e tutta la squadra del Pronto soccorso e della medicina d’urgenza, formata da 36 medici, 105 infermieri e 47 operatori. È un gruppo che sta fronteggiando questa criticità con estrema professionalità e resilienza ".
Che cosa vi ha colto di sorpresa? "Il Covid sta avendo una lenta e costante ascesa, ma per questi pazienti abbiamo sempre trovato le collocazioni adeguate. Invece, è stata l’impennata di malati della cosiddetta linea pulita, ossia senza contagi, a causare il super afflusso e i ritardi nella ricerca dei posti letto".
Colpa dell’influenza? "No – assicura Giostra – l’influenza non è ancora arrivata. Si presentano pazienti con diverse patologie, quelle tipiche degli anziani e, con il freddo, abbiamo avuto un aumento delle infezioni delle vie aeree. Anche adesso, che è quasi mezzogiorno, c’è tanta gente, ma il flusso è minore".
È un momento particolarmente difficile per il Pronto soccorso? "Sì, ma le ondate sono la caratteristica del nostro lavoro. La marea alta è un fenomeno nazionale di questo periodo. Il Pronto soccorso non è un ambulatorio programmato, lunedì e martedì, per esempio, si registrano sempre più accessi. E adesso i reparti Covid sottraggono le risorse. Ma questa volta auspicavamo che il virus non impattasse così tanto. Adesso, per evitare la pressione sugli ospedali, è necessario fare subito la terza dose".
È un appello alla vaccinazione? "Sì. Serve per proteggere noi stessi ed è importante anche dal punto di vista sociale, altrimenti si sottraggono risorse a pazienti cronici, si ritardano gli screening di prevenzione e si ha una risposta sanitaria rallentata. Non possiamo permettercelo".
Molti medici se ne vanno dal Pronto soccorso. Che cosa pensa? "Lo so. Tanti scappano e pochi ci vogliono venire: il lavoro è pesante e si ripercuote sulla qualità della vita esterna. C’è chi non ce la fa più punto di vista psicologico e fisico: li capisco. Peccato, perché è un lavoro bellissimo".
Quali sono i lati positivi? "Innanzitutto è un’attività che non è mai monotona, l’urgenza dà adrenalina e anche molta soddisfazione quando si risolvono le situazioni critiche e il rapporto umano che si crea è costruttivo e dà la forza di andare avanti".
Ha mai pensato di mollare? "No, mai".
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