La Garisenda ha tutte le carte in regola per essere ammessa, insieme alla torre degli Asinelli, nel gotha che accoglie i patrimoni dell’umanità se non altro per essere citata per ben due volte da Dante Alighieri che ricorda la torre nella Commedia e in una delle “rime”.
Una lapide murata sul lato orientale della Garisenda riporta infatti i versi del XXXI canto dell’Inferno con i quali Dante, all’inizio del IX cerchio, incontra il gigante Anteo al quale Virgilio si era rivolto pregandolo di deporre lui e Dante sulla superficie ghiacciata del Cocito. E l’immagine di Anteo che si china sui due poeti richiama a Dante la Garisenda che produce, in chi la osserva dal lato della pendenza, uno strano effetto ottico. Quando, infatti, una nuvola le passa sopra in direzione opposta alla pendenza sembra che la torre si pieghi verso l’osservatore. La similitudine è ovviamente frutto di un ricordo personale e conferma il soggiorno dantesco a Bologna.
L’altra citazione della Garisenda si trova nel sonetto “Non mi poriano già mai fare amenda” (Rime, LI) dove il poeta maledice i suoi occhi perché si sono distratti a guardare la Garisenda e “non conobber quella (mal lor prenda)ch’è la maggior de la qual si favelli”. A cosa intendesse riferirsi Dante con quel vago “quella” non è dato sapere e su questa questione sono state avanzate diverse ipotesi. “Quella” potrebbe essere riferito alla Torre degli Asinelli che sovrasta di parecchi metri la Garisenda oppure la Garisenda stessa, meno alta ma più grossa. “Quella”, infine, secondo la più curiosa delle ipotesi, farebbe riferimento a una donna, forse una bella fanciulla ben nota ai bolognesi che era solita passare sempre accanto alla torre. Il primo ad aver formulato l’ipotesi della “bella sconosciuta” (una appartenente della famiglia dei Garisendi?) è stato Giosue Carducci che lesse il sonetto nella seduta del 23 dicembre 1872 della Deputazione di storia patria per le province di Romagna.
Il sonetto fu scoperto in un Memoriale del 1287 del notaio bolognese Enrichetto delle Querce, che abitava proprio nel Trivio di Porta Ravegnana sotto le due torri, e fu trascritto nel 1869 dal conte Giovanni Gozzadini che poi lo passò a Carducci.
La Garisenda, dunque, è da considerare torre “dantesca” e le due citazioni testimoniano la presenza di Dante a Bologna dove frequentò, come studente “fuori corso”, l’Università. E le due torri colpirono sicuramente la sua fantasia di poeta tant’è che, come scrisse Francesco Filippini in “Luoghi danteschi in Bologna”, se Dante tornasse al mondo per fare un pellegrinaggio nei vari luoghi d’Italia “andrebbe difilato sotto le due torri!“.