All’ora di cena i numeri non ci sono, almeno sulla carta, ma la premier va avanti lo stesso: si tratta fino alla fine. "Anche per l’elezione di La Russa alla presidenza del Senato alla vigilia non c’erano", mormora un colonnello di FdI. Di sicuro, il destino di Francesco Saverio Marini, consulente giuridico di Palazzo Chigi, dipende da un pugno di schede: stamani per l’ottava volta il Parlamento in seduta comune è chiamato a eleggere il giudice della Corte costituzionale vacante da dieci mesi. Per la fumata bianca servono 363 voti (vale a dire i 3/5 dei 605 parlamentari italiani). Il centrodestra ne ha virtualmente 362: dal conto però bisogna togliere i due presidente delle Camere, i ministri Tajani e Fitto in missione all’estero e Umberto Bossi. Per arrivare a dama servono diversi voti ’esterni’, al netto di assenti e franchi tiratori.
Nessuno stupore se ieri ci fosse una certa tensione sia tra i ranghi della maggioranza, dove la fuga di notizie sui parlamentari precettati nella sua chat riservata ha provocato l’ira di Giorgia Meloni e la caccia alla talpa. Sia tra le opposizioni, dove la mossa della premier è considerata "un blitz inaccettabile", e si punta a metterle i bastoni tra le ruote perché "si fermi e avvii un confronto con il centrosinistra". Come? Con l’Aventino, unico modo sicuro per evitare voti in libera uscita. Pd, M5s, Avs, e Azione fanno sapere che non parteciperanno alla votazione. "Non vorremmo fare la figura degli imbecilli come l’altra volta sulla Rai", mette però in chiaro il leader di Azione, Carlo Calenda.
In questo quadro, s’inserisce l’appello dei capogruppo di FdI, Tommaso Foti e Lucio Malan: "Sei votazioni infruttuose dovrebbero suggerire a tutti di seguire l’invito del capo dello Stato a eleggere il giudice che manca da mesi". Stamani si riuniranno i gruppi di opposizione per decidere se restare o meno in aula: il sospetto generale è che i Cinquestelle entrino nell’emiciclo e, pur assicurando che non ritireranno la scheda, qualche voto da lì esca. Non sarebbe la prima volta che Conte e Meloni si mettono d’accordo alle spalle di Elly. Dal Movimento garantiscono che non sarà così. Forse si differenzieranno entrando in aula invece di restare in Transatlantico ma niente di più. In assenza di un accordo ufficiale con qualche partito di minoranza, si guarda a chi potrebbe votare con il centrodestra anche se gli interessati non confermano. Circolano i nomi del senatore Meinhard Durnwalder e del deputato Dieter Steger della Svp che più volte hanno votato con la maggioranza. A questi si potrebbero aggiungere altri potenziali sì: quelli di Francesco Gallo di Sud chiama Nord o Andrea de Bertoldi, deputato espulso ad agosto da FdI. Altri ancora dalle Autonomie, come il valdostano Franco Manes. Quanto ai senatori a vita, per fare la differenza dovrebbero votare tutti e cinque ed è improbabile. Insomma: l’alea è alta. Perché allora la premier ha scelto di rischiare? O ha un accordo segreto, oppure vuole fare apparire l’opposizione come irresponsabile.