di Federica
Orlandi
Quattordici giorni fa festeggiava, in collegamento via web, la sua laurea con 110 e lode. Quattordici sono ora i mesi che gli restano da scontare in carcere, se la sentenza emessa ieri mattina diventerà a tutti gli effetti esecutiva. Come si teme.
"Aiutatemi. Mi stanno arrestando di nuovo. Non ci posso credere. Avvisate la mia famiglia". Queste sarebbero state le prime parole di Patrick Zaki non appena il giudice del tribunale di Mansura, in Egitto, ieri mattina ha emesso la condanna nei suoi confronti: tre anni di carcere, per diffusione di notizie false con un articolo sulle discriminazioni dei copti in Egitto.
Le accuse iniziali erano quelle di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione e diffusione di notizie false, propaganda per il terrorismo.
Tre anni di cui ventidue mesi, però, il ricercatore egiziano di 32 anni, ‘adottato’ nel 2021 da Bologna con la cittadinanza onoraria e, da poco meno di due settimane, laureato al Master Gemma dell’Unibo in Women’s and Gender Studies (Studi sui diritti di genere), li ha già scontati.
Da quando è stato arrestato, all’aeroporto del Cairo mentre rientrava da Bologna all’Egitto in visita alla famiglia il 7 febbraio di tre anni fa, fino al dicembre dell’anno successivo. Quasi due anni di custodia cautelare. Dunque, fanno sapere i suoi avvocati, gli resterebbero da scontare 14 mesi.
Ma la speranza è di riuscire a liberarlo prima: infatti, l’arresto non è ancora ufficiale, ma Patrick si troverebbe ancora in una sorta di stato di fermo da parte della polizia egiziana, in attesa di un pronunciamento formale del governatore militare. Il quale potrebbe anche annullare la sentenza, oppure ordinare un nuovo processo. Anche se per il momento la speranza principale di Zaki pare sia quella di un atto di clemenza da parte del presidente egiziano, Abdel Fattah Al-Sisi, come già richiesto anche dal Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e dal consiglio direttivo del Dialogo nazionale egiziano. Il segretario della Camera, e soprattutto membro della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha fatto sapere alla stampa internazionale di avere ricevuto "rassicurazioni" in merito.
Subito dopo la sentenza, Zaki è stato portato via dall’aula dalle forze di polizia direttamente attraverso la gabbia degli imputati, senza consentirgli di vedere la madre e la fidanzata che lo attendevano lì fuori. Le due donne hanno accolto con grida di dolore e rabbia la notizia della sentenza. "Mio Dio, me l’hanno preso", avrebbe gridato la madre Hela colpendosi il volto. "Dove lo portate?" le avrebbe fatto eco la fidanzata Reny, anche lei laureatasi al Master Gemma dell’Unibo il 5 luglio scorso.
Eppure, la giornata di ieri avrebbe dovuto avere tutt’altra piega. Poche ore prima dell’inizio dell’udienza, infatti, il capo del pool di avvocati che difende Zaki, Hoda Nasrallah, aveva dichiarato di sperare di ottenere dal giudice "una data precisa" per il verdetto. Dando per scontato un rinvio, a questa undicesima udienza. Così non è stato. Dopo quattro ore, il tribunale ha annunciato la propria decisione. E nell’ordinamento giudiziario egiziano, non esiste l’appello.
Ora, anche il governo italiano fa sapere di essere in prima linea al fianco Patrick. "Il nostro impegno per una soluzione positiva del caso di Patrick Zaki non è mai cessato, abbiamo ancora fiducia", dichiara infatti la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Dal fronte Pd invece interviene direttamente la segretaria Elly Schlein, che fa sapere di avere "già chiesto al ministro degli affari esteri Antonio Tajani di riferire in aula e al governo di attivarsi con tutti gli strumenti a disposizione per la liberazione di Zaki e perché interceda con il governo egiziano per la grazia".
Amnesty International, tramite il portavoce Riccardo Noury, ha commentato: "È il peggiore degli scenari possibili, una condanna scandalosa. Patrick non ha commesso quel reato, ma in Egitto imputato è sinonimo di condannato".