di Matteo Zuppi
C’è sempre una dialettica tra la normalità e ciò che non rientra in essa, che la cambia, che l’allarga, che la provoca. Quando non c’è più questa dialettica, si diventa sclerotici e ripetitivi, e la speranza si riduce a cercare di mantenere quello che si è e che si ha. Una speranza del genere è inevitabilmente destinata a deludere e, soprattutto, è sintomo di vecchiaia! La normalità, allora, diventa muro, barriera, malcontento: la vita andrà comunque avanti e ci cambierà ugualmente, ma noi non saremo più in grado di ritrovarci in essa e di comprenderla.
In questi mesi, segnati dal Covid-19, molti si chiedono: "Torneremo alla normalità? Tutto tornerà come prima?". Tra le tante, è interessante la risposta di uno scrittore-filosofo francese, Michel Houellebecq, che dice che non torneremo come prima, anzi, che saremo peggio di prima, perché, secondo lui, la normalità, quando viene provocata, si irrigidisce ancora di più. Una normalità che non riesce a cambiare, infatti, rischia l’indurimento totale.
Dobbiamo rilevare che, a essere sinceri, non siamo mai stati capaci di cambiare, soprattutto nelle strutture della nostra vita e della nostra anima, nonostante tante opportunità e tante "irruzioni" della storia che hanno messo in discussione il normale e le sue chiusure. Dagli anni Settanta a oggi, dal terrorismo, all’uccisione di Moro, alle Torri Gemelle, alla crisi economica: ci sono state tante occasioni che richiedevano cambiamento e uscita da una normalità vecchia per cercare punti di riferimento per nuove normalità, ma poco è stato fatto. Se l’uomo, infatti, manca di interiorità e discernimento, rimarrà sempre superficiale e incapace di un reale cambiamento.
* cardinale arcivescovo
di Bologna