"Mi sono liberata di lui". Queste parole, uscite dalla bocca di Hanane Ben Sabeur dopo avere accoltellato il marito Dario Devincenzi, assieme alla dinamica dell’aggressione, sarebbero la prova della "mancanza di dissociazione psicotica" nella donna, che aveva invece "ben realizzato di essersi ’liberata’ del marito’ con azioni consapevoli e orientate allo scopo di uccidere". Così, i suoi "tratti di personalità istrionica", che pure potrebbero averla portata a "manifestazioni emotive intense e plateali", secondo la Corte d’assise presieduta dal giudice Pier Luigi di Bari non sono stati "causa psichica del delitto" che la donna, marocchina di 46 anni, ha compiuto accoltellando il marito, imprenditore di 63 anni, il 23 maggio del 2021. L’uomo morì poi per le conseguenze di quell’aggressione, senza mai uscire dall’ospedale, il 2 dicembre successivo.
Ben Sabeur è stata condannata a 23 anni, in primo grado: ora il presidente della Corte illustra le motivazioni della sentenza. Il dibattimento si giocò in gran parte sulle condizioni psichiche della donna e sulla sua capacità di intendere e volere al momento del delitto. Alla fine, la Corte ha sposato la tesi dello psichiatra Renato Ariatti (per la Procura) sostenendo come la personalità istrionica della donna "non fosse un vero e proprio disturbo clinicamente riconoscibile" e non vi sia perciò un "nesso eziologico" tra questo e l’omicidio. Interrogata, poi, lei non raccontò mai l’accaduto, parlando dapprima solo di un "litigio" col marito, nato da un suo presunto tentativo di violenza sessuale, ipotesi non accolta dalla Corte, per poi chiudersi nel silenzio. Questa "amnesia, se c’è stata, è stata con ogni probabilità successiva al fatto traumatico" e non "un sintomo" di un disturbo.
L’aggressione avvenne a Marzabotto: Devincenzi fu accoltellato dalla moglie davanti ai figlioletti di 7 e 13 anni. "Aiutatemi, sto morendo – gridò lui disperatamente –. Salvate i miei figli, salvate i bambini". Con un filo di voce raccontò poi che la moglie lo aveva aggredito "senza motivo" alle spalle mentre stava andando in bagno, e lui le chiedeva "perché". Due vicini, cui aprì la figlioletta della coppia, cercarono di salvarlo: disarmarono la donna, che però poi prese un altro coltello e tentò di avventarsi di nuovo sul marito già in una pozza di sangue. Dopo 194 giorni d’agonia, lui morì.
"La Corte ha accolto e seguito le nostre argomentazioni – commenta l’avvocato di parte civile Saverio Chesi, per i fratelli della vittima –. Queste motivazioni, molto precise e specifiche, rendono inoltre giustizia a un uomo che durante le udienze è stato un po’ bistrattato".
Federica Orlandi