Bologna, 13 aprile 2021 - Aveva chiesto quattro milioni di risarcimento danni per la diffamazione sia a mezzo stampa sia tramite le "dichiarazioni agli organi inquirenti", nei confronti del sindaco di San Lazzaro Isabella Conti. Invece, il giudice della terza sezione civile del tribunale Cinzia Gamberini ha rigettato il ricorso e anzi condannato l’ingegner Massimo Venturoli, legale rappresentante e amministratore della società Palazzi Srl, a pagare le spese di lite, per 30mila euro più altre spese (si arriva così a oltre 40mila). La sentenza, per cui non è stata presentata opposizione, è passata in giudicato; la vicenda, è chiaro, è quella della cosiddetta ’Colata di Idice’. Venturoli , imprenditore edile, era tra gli indagati, nel 2015, sulle presunte pressioni a Isabella Conti perché non bloccasse la ‘colata’, cioè il maxi-insediamento urbano da 582 alloggi, del valore di 300 milioni, tra via Palazzetti e via Fondè a Idice.
Indagine poi archiviata. Così l’imprenditore ha chiesto in sede civile l’imponenente risarcimento danni, lamentando come le "plurime dichiarazioni gravemente denigratorie e infamanti rese dal Sindaco in interventi televisivi, sulla carta stampata e sul web", assieme alla querela ai carabinieri con "dichiarazioni e accuse non veritiere e decettivamente infamanti", gli avessero provocato un danno non solo d’immagine, anche professionale, ma anche sotto il profilo della perdita di chance, poiché "hanno avuto un immediato effetto diretto nei pur consolidati rapporti tra Venturoli e gli istituti di credito con i quali lo stesso opera per il finanziamento e le operazioni necessarie per porre in essere la propria attività di impresa". In più, la telefonata e la richiesta d’incotnro all’epoca finite nel mirino delle indagini furono dettate da una "interlocuzione al fine di aprire un tavolo di trattative" tra il sindaco e tutti i soggetti coinvolti, dunque non la sola ditta Palazzi.
Il sindaco, dal canto suo, ha rilanciato attacando questa azione come temeraria (anche questa domanda è stata rigettata dal giudice), affermando di non avere formulato alcuna accusa denigratoria, ma di avere semplicemente esercitato il proprio diritto-dovere di sporgere querela.
Un elemento quest’ultimo, accolto dal giudice, che ha stabilito la non sussistenza di un "elemento oggettivo dell’illecito civile costituito dalla condotta dolosa o colposa causativa di danno ingiusto", poiché la querela sporta da Conti rappresentava non solo un "diritto del cittadino" – posto che la calunnia prevede che il denunciante sia consapevole dell’innocenza del denunciato – , ma anche "l’adempimento di un dovere laddove questi rivesta la qualifica di pubblico ufficiale", come appunto quella di sindaco. Un’iniziativa peraltro "legittima e fondata" anche secondo le determinazioni di pm e gip in sede penale, sottolinea Gamberini.
La quale si rifà alla richiesta di archiviazione della Procura, nel punto in cui si non si mette in dubbio che quanto denunciato dalla prima cittadina – con condotte talvolta "pressorie" – sia accaduto, ma si sottolinea come queste non siano tali da meritare una sanzione penale. Dunque la denuncia era legittima; e lo stesso, prosegue il giudce, lo erano le dichiarazioni rilasciate dal sindaco alla stampa, sia perché "la sua narrazione era esclusivamete riferita al fenomeno che l’aveva determinata ad interessare l’Autorità giudiziaria, senza alcun interesse verso singole condotte di singoli soggetti", e i commenti talvolta rilasciati a corredo rientrerebbero "nell’ambito di un corretto esercizio del diritto di critica".
Così, si chiude anche questo capitolo della vicenda della ’Colata’; nel frattempo, però, potrebbe continuare la vicenda legata alle richieste di risarcimento presentata da costruttori – Laterizi Brunori e Dipierri, per un totale di 26 milioni di euro – e coop , dopo che rispettivamente a dicembre e febbraio scorsi furono respinte dai giudici del Tar. I costruttori (con l’avvocato Angelo Piazza) hanno presentato l’appello la settimana scorsa e attendono l’udienza; e anche oer le coop non si esclude il ricorso al Consiglio di Stato.