MAURO BASSINI
Cronaca

Bologna, lo chef Cesare Chiari lascia il Bitone dopo 40 anni di attività e va in pensione

Oggi il brindisi per il noto ristoratore

Lo chef Cesare Chiari (foto Schicchi)

Bologna, 5 giugno 2017 - Nella penombra del ristorante ancora chiuso, Cesare Chiari apre una valigetta di metallo, si siede a un tavolo e sfoglia centinaia di foto. Quella volta che a Cannes sbaragliò i maestri francesi in un concorso di alta cucina. Quell’altra che a Dusseldorf rappresentò l’eccellenza italiana, con Milva e altre celebrità dell’epoca. E poi tante immagini nel suo Bitone, accanto a campioni e attori, alle Spice girls e a Michael Bublé. Cesare è uno dei quattro o cinque personaggi che hanno fatto la storia della cucina bolognese tra due secoli. Oggi per lui sarà un giorno speciale. Dopo 40 anni di Bitone e 60 di attività nel mondo della ristorazione, saluterà clienti e amici con un brindisi prima di cena e se ne andrà in pensione. Una collaudata squadra porterà avanti il suo lavoro nell’elegante locale di via Emilia Levante.

Cesare Chiari, nato a Bentivoglio nel 1945. Il primo ristorante in cui mise piede?

"Bolognini, in piazza Trento Trieste. Avevo 12 anni e seguivo il corso di cucina Enalc in piazza Galileo. Da uditore, perché non avevo l’età minima. Il direttore era Tommaso Casini, il padre di Pier Ferdinando. Devo molto a quella scuola".

E dopo?

"Il buffet della stazione, Jagus, Giuseppe in piazza Maggiore, Baglioni, Grand hotel di Cesenatico per 15 stagioni...".

Di soddisfazioni ne ha avute tante, compresa la stella Michelin. Il momento più bello?

"Un venerdì notte, nel 1989, un incendio distrusse completamente il ristorante. Il lunedì dopo tre banche mi chiamarono per propormi un fido senza condizioni, sulla fiducia. Sono cose che ti danno una carica formidabile".

Il piatto di cui va orgoglioso?

"Il più classico: i tortellini goccia d’oro, in crema di parmigiano. Volevo depositarne il nome, ma il marchio già apparteneva a un caffè e a un olio, così lo registrai in dialetto bolognese".

E il piatto di cui si è pentito?

"Il risotto al salto, un classico milanese che nelle famiglie si otteneva saltando in padella il risotto avanzato. Un giorno un cliente mi disse: vorrei un risotto ma, per carità, non quello. Lo cancellai dal menù".

Clienti indimenticabili?

"Tanti. Ayrton Senna veniva spesso. Una volta guardò storto un piatto di garganelli verdi. Se li mangiò solo quando qualcuno riuscì a convincerlo che quel verde non era muffa".

I cuochi bolognesi più bravi?

"Una sfilza. Dall’Oca, Ancarani, Tasselli. E Gianni Betti, che da Pippo in via Salvini fece riscoprire il pesce ai bolognesi. Potrei continuare a lungo, ma nessuno ormai se li ricorda".

Come sta la cucina bolognese? Migliora? Ha un futuro?

"Regge bene, a tratti è esaltante, anche se è costantemente messa in discussione. Non parlo di singoli colleghi, anche se sono contento che loro non parlino mai male di me".

Metterà in carta lo spaghetto alla bolognese?

"Guardi, mi piace anche. Ma in carta no, proprio no".

Se ha fame e pensa a una cosa buona?

"Mortadella, parmigiano, pane e un bicchiere di vino bianco".

Rimpianti?

"Nessuno. Ho scelto il mio mestiere. Ho sempre fatto e faccio quel che mi pare. I rimpianti, semmai, li hanno avuti nei posti che ho lasciato. D’altra parte, se si lavora con impegno non è difficile farsi rimpiangere".