Con ‘Rivoluzione Duse. Inno agli stregati’, Elena Bucci si misura con la Divina, Eleonora Duse, nel centenario della morte. Viaggia nel passato per incontrare in tutta la sua forza, attraverso lettere e documenti, una donna che esorta alla rivoluzione, alla lotta al pregiudizio e alla ricerca di una verità. Stasera alle 21 il teatro del DamsLab ospita lo spettacolo prodotto dalla compagnia Le belle bandiere, che inaugura il programma di eventi autunnali de La Soffitta.
Bucci, cosa rende fulgida la figura di Eleonora Duse?
"Al di là della visione che ne abbiamo molto spesso come creatura eterea, amante di D’Annunzio, è stata una donna fortissima, coraggiosissima, che ha preso in mano più volte il suo destino rivoluzionandolo e cambiando le convenzioni".
Chi sono gli stregati a cui fa riferimento nel titolo?
"Tutti coloro che inseguono il sogno di perseguire una missione, trovando il modo di fare di qualsiasi lavoro una vocazione".
La prima volta che portò in scena uno spettacolo su Eleonora Duse è stato quando lasciò la compagnia di Leo de Berardinis, che periodo fu?
"Ci fu una discussione con Leo. Andando avanti era cresciuto il desiderio di avere un’autonomia artistica alla quale lui stesso ci aveva spinto, così cominciai il lavoro allo spettacolo che si si intitola ‘Non sentire il male’ e viene tutt’oggi programmato. A distanza di tanto tempo, in occasione del centenario della morte ho raccolto molto altro materiale, molti lasciti ‘dusiani’, tra cui quello della figlia, e su suo invito ho creato questo secondo lavoro, ‘Rivoluzione Duse’, incentrato sul periodo che non avevo trattato nell’altro spettacolo, quando lei decide di dedicarsi al cinema ma poi ritorna al teatro. E di teatro ‘muore’, in qualche modo, in America".
C’è qualcosa che la conforta nella storia della Divina?
"L’impulso al coraggio, all’autodeterminazione, il non temere di avventurarsi da soli per qualcosa in cui si crede. Questa è un’attitudine, un esempio che attraversa il tempo".
L’immagine più nitida di Bologna?
"Abitavo in centro, mi capitò di perdermi, come dice Lucio Dalla che non può fare neanche un bambino... Ma ricordo la straordinaria accoglienza. Per quanto riguarda il lavoro con Leo, ricordo l’emozione del primo spettacolo che vidi, mi sembrava di essere in un sogno, assistevo a qualcosa che avevo dentro ma che non sapevo di possedere. Mi sentii graziata dalla sorte, perché sono talmente timida, talmente poco presenzialista, che riuscire a incontrare Leo fu una cosa dovuta al caso e alla fortuna".
Crede nella fortuna, non nel destino?
"Credere in un destino ci de-responsabilizza, credere nel caso ci apre lo sguardo e l’ascolto. Forse le due cose si intrecciano, e quando siamo pronti ad ascoltare e a vedere, è lì che anche il destino e il caso riescono ad essere generosi".
Amalia Apicella