Caso Amato, la psicologa di Isabella: "Sospettava del marito. Non voleva più le tisane"

La professionista: "Temeva che lui mettesse di nascosto delle benzodiazepine. Durante la terapia non ha mai manifestato pensieri o tendenze suicide"

Bologna, 18 giugno 2024 – Dopo aver scoperto, grazie alle analisi del sangue, tracce di benzodiazepine superiori alle dosi della terapia che seguiva, Isabella Linsalata "non voleva più" le tisane che le preparava il marito Giampolo Amato, l’oculista accusato di aver ucciso la moglie dalla quale si stava separando e la suocera Giulia Tateo con un cocktail di farmaci. Lo ha detto in aula la sua psicoterapeuta, Patrizia Brunori, che ha testimoniato al processo a carico di Amato. La psicologa ha aggiunto che Linsalata non manifestò mai "pensieri o tendenze suicide, e non ho mai riscontrato un abuso di farmaci da parte sua". Poi ha ripercorso tutti i passaggi della terapia di Isabella, che si era rivolta a lei nel 2018 "per affrontare una crisi coniugale che stava iniziando e che la preoccupava molto", dovuta ad una relazione del marito. La terapia è proseguita "fino alla morte di Isabella Linsalata", che aveva una seduta fissata per il giorno successivo al suo decesso.

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"La signora – ha rivelato la psicoterapeuta – disse che aveva il sospetto che il marito, che le preparava ogni tanto delle tisane, le somministrasse di nascosto delle benzodiazepine". Una volta che il sospetto, condiviso anche con le amiche e la sorella, era diventato più concreto, dopo una serie di accertamenti, "di quelle tisane non ne voleva più". Quando ogni martedì mattina Isabella Linsalata si presentava nello studio della sua psicoterapeuta, aveva "sempre una bella energia e la voglia di essere lì", ha detto ancora la psicoterapeuta. Nel periodo iniziale Linsalata seguiva "una terapia farmacologica con un antidepressivo e prendeva anche un ansiolitico", ha riferito in aula la teste, ma "nell’ultimo periodo la signora aveva sospeso la terapia farmacologica perché stava meglio". Salvo una occasione, nel febbraio 2019, non si era mai presentata alle sedute confusa o in uno stato alterato. "Nel febbraio 2019 venne in seduta con dei sintomi fisici – ha spiegato la testimone –. Disse che si sentiva rallentata e poi fece accertamenti, tra cui un ricovero in ospedale di due giorni e delle visite neurologiche".

La neurologa che Linsalata aveva consultato le diagnosticò una "sindrome acuta o subacuta legata allo stress psicofisico" provato in quel periodo, a causa della separazione dal marito, che nel frattempo aveva un’altra relazione. "La signora mi disse che aveva fatto due giorni di ricovero in ospedale e in seguito fece tutti questi accertamenti" e dopo che le furono trovate delle benzodiazepine nel sangue in livelli più elevati rispetto alle terapie che seguiva, "il pensiero della signora era stato che il marito potesse qualche volte metterle del tranquillante nella tazza della tisana". Dopo quella mattina, però, la psicoterapeuta non aveva più visto Linsalata "in situazioni di malessere fisico paragonabili a quell’episodio". "La signora era molto attenta, si prendeva molta cura di sé, se stava male andava subito a farsi controllare. Aveva una fede religiosa molto forte che l’ha sempre sostenuta anche nei momenti più difficili - ha spiegato la psicologa - La signora aveva il suo lavoro, i suoi figli, una rete amicale molto forte. Non si è mai isolata dalla vita sociale".