A chi conosce la musca degli Ex-Otago forse verrà in mente quel verso Tu non tradirti mai de La nostra pelle. Perché nel libro del cantante Maurizio Carucci, Non esiste un posto al mondo (HarperCollins), si viaggia fisicamente – con lui e la sua compagna a piedi fino a Milano –, ma anche dentro la vita dell’artista. Fin dalle prime pagine, infatti, c’è una geografia sentimentale che inizia da Marassi, il quartiere di Genova da cui "conviene partire e non arrivare", e tocca i luoghi in cui Carucci è cresciuto, prima della carriera musicale e della vita da agricoltore nella Cascina Barbàn. Sarà l’autore a raccontare il suo esordio letterario, domani alle 18.30, alla Confraternita dell’uva (e oggi a Modena e l’8 novembre alle 18 a Cesenatico, al Teatro Comunale).
Carucci, dal racconto del proprio mondo in canzoni a un romanzo. Perché?
"Qualche anno fa ho passato un momento difficile della vita, ma già da tempo lavorava dentro di me il fatto di sperimentare qualche cosa di diverso, che non si richiudesse solo dentro la gabbia dorata della canzone, dove tutto si basa su sintesi ed estetica. Avevo voglia di mollare le briglie e vedere dove mi portavano le parole. In più i miei viaggi mi hanno consigliato la via".
Quale?
"In questa vita così frenetica e materialista, dominata dai numeri, dalla performance, dai fallower, i miei viaggi sono nati come in opposizione. Sono viaggi senza gloria, minimi, ma con un ruolo molto importante visto l’atteggiamento che c’è oggi di ’gigantismo’ in ogni dove: e invece anche i viaggi corti ci fanno scoprire luoghi e territori interiori. Quando ho visto da lontano questi due soggetti, cioè io e Martina, camminare su una Provinciale, alla ricerca di qualcosa, animati da un disagio... mi hanno fatto tenerezza e ci ho visto qualcosa di interessante".
Nel libro però si parte da più lontano: l’infanzia a Marassi, da cui sentiva nostalgia dei boschi pur senza conoscerli.
"Questo viaggio è iniziato quando ero bambino. È stato un’espressione del passato vissuto fra i palazzi in calcestruzzo ed è sfociato in questa traversata di epoche e culture che mi ha portato a Milano. Mi sono divertito a ripercorrere i momenti della mia famiglia, come eravamo buffi: questo libro ha l’obiettivo primario di conoscersi, far uscire quello che la vita mi ha fatto vedere. Per me però è un libro su quel viaggio lì, che ho preso da molto lontano".
Nel frattempo ha lasciato la città per l’Appennino, uno degli ultimi luoghi "selvatici" rimasti, con le sue storie di abbandono e le difficoltà.
"Non ci si pensa, ma Genova è una città di montagna quanto di mare, con un entroterra maestoso. L’Appennino è qualcosa di familiare, per me è stata una via logica di provare a vivere il selvatico. Le difficoltà le sento tutte addosso: queste sono spesso società abrasive, chiuse. A volte nei margini la cultura è vista come qualcosa di non necessario. Però il bello dell’Appennino è che si trova a un’ora di auto dalla città, dove accadono movimenti importanti per le persone. Ho la fortuna di essere poco distante anche dal mare, cruciale per me anche dal punto di vista artistico".
I mondi della terra e della musica sono molto esigenti.
"È così, non a caso i contadini in passato erano suonatori di violini, fisarmoniche... perché la terra ti vuole tutta per sé e c’è sempre stato bisogno di rivolgersi al cielo, all’arte e alla musica. Io vivo in un contesto isolato, ma frequento con gioia la vita urbana. Si può fare, forse per la prima volta, proprio in questa epoca".
Cosa l’ha colpita di più del viaggio a piedi a Milano?
"Mi ha affascinato il viaggio temporale, di epoche: siamo partiti da uno dei luoghi più selvaggi mai visto, l’Appennino ligure-piemontese, con ruderi abbandonati, lupi, conifere, per arrivare alla piana di Voghera, nella bassa padana. Siamo riusciti a ripercorrere cinque-sei decenni: e quando cammini la storia questa ti attraversa nella maniera più potente che ci sia. Arrivi fra benzinai abbandonati, grandi rotonde, luoghi governati dalle automobili. È un viaggio che non ha risposte e in questo periodo storico in cui tutti hanno una via – per la felicità, il benessere –, questo una via non ce l’ha".
Ma alla fine nella sua Val Borbera è rimasto.
"Sì, sono tornato in cascina, con i soliti problemi. Sono una persona molto fortunata, ma i problemi della vita, le inquietudini, ci sono. E allora la cosa più interessante e furba che possiamo fare è andarci d’accordo".