Bologna, 21 ottobre 2024 – Bologna è la città delle acque. Molte delle quali sotterranee: sono i fiumi e i torrenti tombati nel corso dei secoli che scorrono sotto le strade del centro e non solo. Ma le sue acque, troppe volte da un anno e mezzo a questa parte, l’hanno tradita.
Sabato, il torrente Ravone è esondato ancora. Nonostante le griglie installate dopo l’alluvione di maggio 2023 per garantirne la pulizia ed evitarne occlusioni, e i lavori di consolidamento per impedire che le acque emergessero dalla loro sede sotterranea allagando poi via Andrea Costa, via Saffi e le strade limitrofe. Il torrente, tombato dal 1932 dopo un “furioso uragano” (titolò il Carlino), che lo fece straripare con l’Aposa e gli altri corsi d’acqua cittadini, che allagarono centinaia di case e sommersero persino le tombe del cimitero della Certosa, sabato, dopo sei ore di pioggia – pur in quantità mai viste prima, 160 millimetri, corrispettivo di due mesi d’autunno medi – è uscito dalla sua sede, invadendo strade, garage, cantine, appartamenti.
“Il Ravone è uscito in tratti diversi rispetto al maggio ’23 – chiarisce il sindaco di Bologna Matteo Lepore –, in cui era impossibile intervenire perché ci sono cunicoli stretti, circondati di condomini. E siccome ovviamente non si possono abbattere, serve una soluzione ingegneristica nuova, da studiare insieme tra istituzioni, che devono collaborare senza litigare e a prescindere dal colore politico per affrontare questa nuova emergenza che, accettiamolo, ormai avviene quasi di mese in mese”.
Il sistema dei numerosi canali artificiali bolognesi, che per anni, talvolta secoli, ha gestito alla perfezione proprio questo tipo di emergenze, raccogliendo le acque piovane e soprattutto quelle dei torrenti che scorrono per la città, tombati e non, non basta più, a fronte di questi eventi da record.
Oltre al Ravone, infatti, sabato è uscito dalla sua sede sotterranea anche il ’collega’ Aposa, le cui acque hanno invaso via San Mamolo e dintorni. L’Aposa, in parte tombato per motivi igenici già nel XV secolo, fu chiuso nel suo tratto fuori porta e fino a via di Roncrio, sui colli, sempre per l’uragano del ’32, peraltro rimasto proverbiale per i bolognesi.
“Oltre ad Aposa e Ravone, hanno creato problemi anche torrentini quasi sconosciuti – prosegue Lepore – alcuni hanno alvei sotto tratti di strada molto brevi, ma passano sotto le tubature e quando superano livello di guardia sfiorano per entrare nei canali che portano via l’acqua in eccesso. Un sistema che ha sempre funzionato nei secoli, ora messo in crisi da una quantità pioggia improvvisa e mai vista prima. Così l’acqua è uscita sia dai torrenti sia dai canali che dovevano contenerla, con i danni più grossi creati però dalla pressione, che ha fatto scoppiare i cassoni di Aposa e Ravone ed esplodere cantine, solai di garage, tombature, tombini”.
Discorso diverso per via Riva Reno. Qui il canale, tombato nel 1957 per far spazio all’Autostazione e migliorare viabilità e sosta della zona, è tornato alla luce da pochissimi mesi. Il cantiere, legato alla linea rossa del tram, è tuttora aperto. E subito è fuoriuscito dagli argini. “Ma proprio la scopertura del canale ha permesso che in via Riva Reno ci fossero meno danni rispetto ad Andrea Costa col Ravone – mette preventivamente a tacere le polemiche il sindaco –, perché così la pressione dell’acqua era molto meno forte. I danni registrati lì sono dovuti all’acqua che colava dal canale e a quella piovana scesa, non al Reno”.