La morte di Alica Siposova è stata l’apice. Ma nonostante l’attenzione e lo sconcerto suscitato da quella tragica vicenda, il fenomeno dello sniffing, alla Dozza, non si è mai arrestato. E anzi, è un problema attuale e costante. Alica era morta in carcere a marzo scorso, inalando il gas di una bomboletta di quelle utilizzate dalle detenute per cucinare in cella. Lo faceva per stordirsi perché chi non ha ‘moneta di scambio’, per acquistare droga o farmaci, in carcere si fa di quello che trova.
Allo stesso modo, venerdì scorso, un’altra detenuta della sezione A è stata sorpresa da una poliziotta della penitenziaria a sniffare gas. L’agente ha deciso, per riportare l’ordine, di chiudere la sezione: una detenuta, contrariata dalla decisione, ha dato un calcio alla porta blindata della sua cella, schiacciando la mano della poliziotta, che ha riportato dieci giorni di prognosi. A rendere noto l’episodio è Anna Gargiulo, sindacalista della Cisl. Che, nel farlo, punta l’attenzione sul problema della gestione delle tossicodipendenze, anche quelle ‘anomale’ come lo sniffing, alla Dozza. "Abbiamo appreso – spiega la sindacalista – che, al fine di arginare l’uso improprio del gas delle bombolette utilizzate per cucinare, sarebbe stato recentemente vietato ad alcune detenute di acquistare le ricariche di gas al sopravvitto del carcere. Pur comprendendo la volontà di contenere il fenomeno, temiamo che questa misura non rappresenti una soluzione adeguata ad affrontare il problema alla radice, in quanto il divieto potrebbe comportare conseguenze potenzialmente più gravi (come l’utilizzo ludico di farmaci), con ricadute imprevedibili sull’ordine e la sicurezza del reparto e, quindi, sui carichi lavorativi del personale". Il problema delle bombolette di gas è importante: si tratta infatti di oggetti comunque pericolosi, che possono esplodere o essere utilizzati come armi improprie. Tuttavia al carcere bolognese, dove l’impianto elettrico vetusto non regge l’installazione, in tutte le celle, di piastre elettriche per cucinare, al momento non sussistono soluzioni alternative all’utilizzo - lecito o meno - del gas.
"Il 29% dei nostri detenuti è tossicodipendente – aggiunge il sindacalista Cisl, Nicola D’Amore –. In carcere la droga, purtroppo, gira. E chi non ha potere d’acquisto si riduce a sniffare il gas o ad assumere farmaci. Al mercato nero della Dozza, ad esempio, dieci Tavor costano un pacchetto di sigarette. Dove non può girare denaro, la moneta di scambio sono i tabacchi".
La soluzione insomma è complessa, "ma sicuramente si deve lavorare in ambito terapeutico, con un intervento più incisivo della medicina penitenziaria". Che, come spiega D’Amore, fa capo alla Regione: "L’auspicio è che ci si faccia carico di questa emergenza, a tutti i livelli: dall’amministrazione penitenziaria alle istituzioni locali".