Concorso in omicidio volontario: è questo il reato ipotizzato nella nuova inchiesta del procuratore capo Giuseppe Amato con l’aggiunta Lucia Russo per i fatti della Uno Bianca. La scia di sangue, morti e terrore che per sette anni tormentò la nostra regione e oltre, mietendo 24 vittime e ferendo oltre 100 persone tra il 1987 e il 1994, è tornata sul tavolo della Procura dopo l’informativa dei carabinieri – che nel 2021 acquisirono un’intercettazione già agli atti, ma riportata all’attenzione dal Carlino, e l’esposto di un giornalista con documenti che indicavano come già nel ’91 fosse noto alle forze dell’ordine che Fabio Savi era in possesso di un’arma identica a quella che sparò al Pilastro – e l’esposto firmato lo scorso maggio da alcuni parenti delle vittime (in primis Ludovico Mitilini, fratellodi Mauro, uno dei carabinieri uccisi al Pilastro), tramite gli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser, che vorrebbe "riempire i vuoti" della prima inchiesta, quella che nel 1997 portò alle condanne della banda capeggiata dai fratelli Fabio e Roberto Savi e composta da cinque poliziotti e un solo ’civile’ (Fabio appunto, carrozziere), ma che, per i parenti, ebbe la ’colpa’ di sottovalutare il gruppo riducendolo a rapinatori, non "terroristi", ribadisce oggi Ludovico Mitilini.
Ecco che, a 33 anni esatti dall’omicidio dei giovanissimi carabinieri Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, la Procura potrebbe valutare l’esistenza di altri complici di quei delitti. Non solo i Savi dunque, ora in carcere a scontare le loro sentenze definitive, e gli altri che con loro furono condannati, ma altri che, con loro, avrebbero compiuto quegli omicidi. Il fascicolo resta contro ignoti, ma il reato su cui Digos e Ros indagano è questo, mentre altri – banda armata, depistaggio – sono prescritti. Così, la Procura non potrà nel caso che darne atto, ma poi archiviare.
Il fascicolo aperto nel 2021 – senza iscritti né ipotesi di reato – si concentrava in gran parte sull’audio della telefonata intercettata del padre della "superteste" del Pilastro, Simonetta Bersani, che incriminò i ’pilastrini’ Santagata prima che i Savi confessassero la strage: l’uomo parlava a un amico di "capi" che avrebbero rassicurato la figlia nel suo ruolo di testimone, garantendole "un grande avvocato" e che erano "tutti con lei". Intercettazione agli atti del processo ai Santagata, ma assente in quello sulla Uno Bianca: poté entrarvi ancora una volta grazie al ’solito’ Ludovico Mitilini. Secondo un documento datato maggio ’96, infatti, fu lui a consegnarne la trascrizione al pm Valter Giovannini, segnalandogli "passi significativi" nella telefonata di Marino Bersani (ora deceduto). Nel nuovo esposto, in più, i parenti delle vittime chiedono di fare luce sui troppi punti rimasti oscuri: perché i militari uccisi al Pilastro si trovavano in via Casini, quando sarebbero dovuti essere davanti alle ex scuole Romagnoli? Che fine fece il foglio di servizio della pattuglia, con gli incarichi di quella notte? E chi era il "quarto uomo" che caricò i Savi su un’Alfa 33 per soccorrere Roberto ferito? Che relazione c’era tra la banda e la Falange Armata, che ne rivendicò vari crimini? E con il brigadiere Domenico Macauda, già condannato per calunnia riguardo l’omicidio dei carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Erriu a Castel Maggiore nel 1988? Domande che potrebbero trovare ora una risposta. "Siamo lieti che la Procura ci abbia seguiti – commenta l’avvocato Gamberini –. Alcune voci ostili definirono ’visionara’ la nostra iniziativa, ora confidiamo in una svolta".
Federica Orlandi