di Marco Santangelo
"Il Natale è una festa dove ci accorgiamo di chi ci sta vicino solamente se partiamo da chi si trova più indietro e solo di noi". È la mattina di Natale, la Messa è terminata da poco e frate Giampaolo Cavalli, direttore dell’Antoniano, raggiunge subito la mensa per bisognosi di via Guinizelli. I volontari (una ventina) si aggirano tra i tavoli pronti ad accogliere più di 140 persone: apparecchiano, aggiungono qualche sedia e ammassano i vassoi. "Qui riceviamo tutti, 365 giorni all’anno", precisa fra Cavalli. "Ma per oggi abbiamo organizzato una festa speciale con un pranzo diverso dal solito".
In cucina lo chef Pasquale Valente è frenetico ai fornelli, pare abbia centro braccia: mescola lo spezzatino, sforna i cannelloni, smista il pesce. E tuttavia la sua indole sbrigativa si placa non appena apre bocca: "Cucinare il giorno di Natale, per un cuoco, è un po’ come farlo in casa, solo che è come farlo per una grande famiglia". Ma non gli manca la sua di famiglia? "Certo, è bello passare questi momenti con i parenti - dice Valente -, ma stare con queste persone lo è ancora di più, perché nonostante non abbiano nulla sono in grado di darti tantissimo".
A mezzogiorno i cancelli del convento dell’Antoniano si aprono, una fila di persone comincia a muoversi verso la mensa. Ad accoglierli ci sono Caterina Guagliumi e Luca Speranza che quest’anno, per la prima volta, hanno entrambi deciso di passare il Natale da volontari. "È un’esperienza che tutti dovrebbero fare - spiega Guagliumi -, il mio non è assolutamente un sacrificio, ma una scelta personale e pienamente voluta". E Speranza, invece, non rimpiange di certo il fatto di non essere presente al ’rituale’ pranzo di famiglia, anzi: "Con i miei ho trascorso la vigilia e oggi, invece, è giusto che mi dedichi a chi non può permettersi il Natale".
Alle 13 tutti i posti sono occupati, i volontari servono un pasto dopo l’altro senza interruzioni. Tra loro c’è anche Francesca Lamia, una delle volontarie più giovani del gruppo. Scatta velocemente tra un tavolo e l’altro, spinge il carrello carico di vassoi e si assicura che tutti abbiano ricevuto l’intero menù. "Volevo cambiare le tradizioni, fare qualcosa di diverso e capire da vicino cosa significa soffrire la fame ed essere completamente soli", spiega Lamia. "Ho 29 anni e non mi sento di aver messo da parte la mia famiglia, anzi, le ho sempre dato il tempo che merita". Anche la volontaria Patrizia Pinardi ha voluto variare "il solito cliché del pranzo in famiglia per condividerlo con chi è meno fortunato". Poi aggiunge: "Il lavoro che facciamo ci viene ricompensato con un forte senso di ringraziamento e amicizia… E questo ha un valore inestimabile".